Il fascino di un mistero è il segreto
che contiene, non la verità che nasconde
(Éric-Emmanuel Schmitt)
Difficile raccontare uno spettacolo che procede per colpi di scena e continui riassestamenti di equilibri.
Non so nemmeno se sia meglio conoscere prima l’intreccio per concentrarsi sulla recitazione, come se ci trovassimo di fronte a un classico, oppure scoprirlo con gli attori. Certo i due sono grandiosi.
Glauco Mauri e Roberto Sturno ci accompagnano attraverso le successive variazioni di un incontro-scontro frontale tra due uomini soli che si ritrovano nella casa isolata di uno dei due a disputare di tutto, tra minacce di andarsene da parte di uno e ripensamenti in corner da parte dell’altro.
Parliamo di Variazioni enigmatiche, il testo di Éric-Emmanuel Schmitt scritto nel 1995 e messo in scena già una volta dalla coppia Mauri-Sturno, ora ripreso con la regia di Matteo Tarasco.
Il testa a testa è quello tra uno scrittore misantropo, premio Nobel per la letteratura, ritiratosi a vivere su un’isola sperduta vicino al polo nord (un Glauco Mauri che più in forma non si può) e un giornalista di una piccola testata di provincia (Roberto Sturno che si prende mano a mano il suo spazio secondo un ruolo che monta acquistando tridimensionalità).
La scusa è canonica: un’intervista al Nobel in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo che raccoglie la corrispondenza amorosa tra un uomo e una donna. Ma canoni a parte, quella dell’intervista non è che una scusa.
Il punto nevralgico infatti non è né il romanzo di per sé né i soliti temi che ruotano intorno al mestiere: rapporto vita e scrittura, verità e invenzione, ispirazione, rapporto con la critica, talento. Non è nemmeno il contrasto tra due visioni del mondo, tra due differenti attitudini alla vita, due concetti di amore, di sentimento. Temi tutti dibattuti con vigore e divertimento del pubblico nella prima parte dello spettacolo, in un crescente conflitto che non esclude una grottesca sparatoria fuori scena, in verità messa in atto a mo’ di spauracchio.
Il punto è invece smascherare l’avversario e di fronte a lui smascherarsi. Cercare una tregua nello smascheramento, non già tregua con l’altro ma con se stesso nell’altro e attraverso l’altro.
Senza riuscirvi, naturalmente, ma rivelando di sé quello che basta per farlo precipitare in una crisi senza possibilità di salvezza, che manda all’aria più di vent’anni di vita e, guarda caso, di scrittura.
Quell’ ‘amore inconfessato’ che dà il titolo al libro gli si scaraventerà addosso come la più dura menzogna della sua creazione, annientata sotto il peso di una rivelazione con tanto di prova. Di fronte alla quale persino la rimozione non durerà che lo spazio di pochi secondi.
Schmitt gioca in modo sapiente con il lettore-spettatore e inventa una macchina umana perfetta a partire dalle illusioni più fragili di un essere umano, dalle sue debolezze, dalle durezze di copertura, da palliativi e anestetici farlocchi.
Dietro l’anima coriacea dello scrittore sgomita il narcisismo dell’uomo-scrittore che vuole sapere se si parla di sé e dei suoi libri. E viene fuori la profonda e imponderabile solitudine dell’uomo: scelta e sofferta, desiderata e scontata nei suoi risvolti più dolorosi, difesa e raccontata anche per paradossi: “condividere la casa e il letto ci faceva sentire separati”.
Ma è dietro l’apparenza svogliata del giornalista che l’autore nasconde la ragione profonda della scrittura, la necessità che la riguarda, la capacità delle parole di trattenere, tenere in vita, remare contro il dolore, la dimenticanza e la morte. Le parole e solo quelle, sembra dire Schmitt attraverso il testamento del giornalista, sono in grado di consolarci, raccontando e raccontandoci le più vitali menzogne.
Il contatto tra i due si consuma pian piano intorno al fantasma di una donna, incombente presenza nella sua assenza, che entrambi credono o credevano di conoscere bene. Non è così. Qui non si conosce nessuno e ognuno non è che un’ipotesi: indecifrabile anche di fronte a sé stesso. Enigmatico come le variazioni del titolo, preso a prestito dal nome della partitura di Edwar Elgar che risuona spesso in quel grande soggiorno nel quale consiste la scena. L’identico omaggio da parte dell’identica donna a due uomini soli.
Alessandra Bernocco
Spettacolo visto al Teatro Parioli di Roma il 9 marzo 2022
Variazioni enigmatiche di Eric-Emmanuel Schmitt
Con Glauco Mauri e Roberto Sturno
regia Matteo Tarasco
traduzione e adattamento Glauco Mauri
scene e costumi Alessandro Camera
musiche Vanja Sturno
luci Alberto Biondi
produzione Compagnia Mauri Sturno