Quando un’anima nasce in questo paese le vengono gettate delle reti per impedire che fugga.
Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità: io cercherò di fuggire da quelle reti
James Joyce
Roma 1984: con uno spettacolo dedicato all’Ulisse di Joyce si inaugura a Roma, nel cuore di Trastevere, un piccolo spazio per fare teatro. Fare: non solo rappresentare. Uno spazio dove gli spettacoli nascono e si creano con amore artigianale, laboratorio di idee e occasione di confronto tra artisti e pubblico.
Il Teatro Argot, via Natale del Grande, pochi secondi da San Cosimato. Arrivi sulla strada, civico 27, suoni il citofono e qualcuno ti apre. Come a casa di amici. Dal portone già capisci che ci sei. Il pubblico attende perlopiù nel chiostrino, a piccoli gruppi, prima che si faccia sala. Cioè prima di arrampicarti sulla gradinata fatta di una decina di file, proprio come in un’arena, ma in miniatura.
Il fondatore è Maurizio Panici, attore, regista e produttore, inventore di situazioni che chiamerei fluide, dove tanti artisti ora conclamati hanno potuto sperimentare e sperimentarsi. Fatevi un giro sul sito dedicato.
Roma, 2023: con Ulysses 100 si festeggiano i cento anni dalla prima pubblicazione integrale del capolavoro di Joyce, avvenuta a Parigi nel 1922.
Una celebrazione in due fasi, corrispondenti ai due personaggi principali, Molly B. e Leopold, per ora presentati in due fine settimana dedicati, che hanno visto in campo Iaia Forte e Maurizio Panici.
La prima, interprete di Molly nella singolare versione in napoletano adattata da Ruggero Guarini e diretta da Carlo Cecchi, Molly B., andata in scena dal 16 al 19 marzo: una chicca che Iaia ha in repertorio da più di dieci anni che la vede morbidamente distesa in un letto, sorta di alcova, dove dà voce a questa novella Penelope senza assilli di fedeltà, le guance rosate e il corpo accogliente, i pensieri fatti di carne e lirismo, fantasie e licenze, desideri veraci e innocenti che scorrono senza freni nel flusso joyciano colorato di parole e riferimenti partenopei.
Il secondo, in scena fino a domenica 26, interprete di Leopold, ci parla dal calore di una cucina, virtualmente proiettata sul fondale che avvolge lo spazio scenico (con la stessa tecnica saranno evocati i luoghi visitati e le strade percorse). Seduto a un tavolo di legno a lato della scena, toast imburrati e scotch irlandese, Panici Bloom ci reimmerge fedelmente nelle traversie di Leopold e nei suoi incontri, in cui si parla con la stessa intensità di collane di salsicce, di rognone che mantiene intatto il retrogusto di urina e di una donna desiderata come quella tal Gerty MacDowell, per esempio, osservata mentre scopre il suo corpo sulla spiaggia, la camicetta blu elettrico e nel taschino solo un batuffolo di ovatta profumata.
Il racconto joyciano procede per una buona ora fitto di immagini sensoriali che emanano odori, solo a tratti Panici raggiunge un microfono nel buio della sala e pare introdurci in una provvisoria sospensione del flusso per dare spazio a riflessioni dal Libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa.
Un piccolo grande progetto in cui il Teatro Argot si avvia a festeggiare i quarant’anni di esistenza e attività, magari da riacchiappare e riproporre più in là. Perché, forse, due soli fine settimana non bastano.
di Alessandra Bernocco