"Meglio essere un buono a nulla che un mediocre in tutto"
da Giovanni Soriano, Finché c'è vita non c'è speranza (2010) romanzoIn scena al TeatroBasilica di Roma, A volte Maria, a volte la pioggia, scritto e magistralmente interpretato da Daniele Parisi, è uno spettacolo travolgente, comico sebbene tragico, ed estremamente movimentato.
Eppure Parisi sta solo nello spazio scenico occupato esclusivamente da una sedia rossa e da un microfono collegato a una loop station che prolunga nel tempo i diversi vocalismi che l’attore produce tra un frammento e l’altro della sua performance.
La drammaturgia musicale si incastra perfettamente con quella verbale che sembra un canovaccio astruso pensato per più voci.
In realtà la scrittura scenica, fatta di chiacchiere spontanee e con cadenze vagamente romanesche, ha una struttura minuziosamente costruita, caratterizzata da un ritorno strategico di frasi e riferimenti a cose già dette e da un accumulo ben ponderato dei normali accadimenti della vita che il protagonista non riesce ad affrontare e a sopportare.
Cerca di comprendere la sua inadeguatezza ma non si lamenta, anzi, spesso ricorre al paradosso e ridicolizza i luoghi comuni di oggi.
Difficile parlare di ciò che racconta in scena. Per capire fino in fondo la potente carica espressiva dello spettacolo bisogna andare a vederlo. Il poliedrico talento attoriale di Parisi, l’empatia trasmessa al pubblico attraverso i suoi sguardi e la sua gestualità, mettono a tacere qualsiasi commento scritto. Ma bisogna pur provare.
Sappiamo che ha una compagna, Maria, che non riesce a capire, l’amico Maurizio e una utilitaria sgangherata dentro la quale si sente a suo agio, libero di parlare con se stesso, lontano dai suoi simili. E’ scocciato dall’idea che oggi sia richiesto di stare al centro del consenso sociale e non ai suoi margini come ci sta lui. Il suo amico Maurizio si sente realizzato perché è andato a vivere fuori Roma , dove c’è l’aria buona e dove produce un vino senza additivi che facciano male alla salute ma che fa letteralmente schifo. Tornando a casa con la sua piccola auto, si racconta di essere lui al centro di Roma e non l’amico.
Piuttosto che andare a una festa di compleanno, preferirebbe impiccarsi, perché ci sono troppe persone che si vantano delle professioni che esercitano e, soprattutto, perché il passare del tempo andrebbe festeggiato con la chirurgia estetica.
Nel suo intenso dialogo interiore, ammette di non essere un maschio alpha e di non poter mettere su famiglia. Con Maria trova difficoltà di comunicazione ed è sicuro di non conoscerla bene perché non conosce neanche se stesso. Esclude l’ipotesi di fare un bambino, che tra l’altro rischia di suicidarsi ogni momento, perché non potrebbe mai diventare un padre esemplare, capace di trasmettergli qualcosa. Anche tenere un animale domestico lo impensierisce. Se tiri una scarpa al cane, quello te la riporta e continuerebbe il giochetto all’infinito. Se prendi un gatto, quello si chiede cosa erediterà.
Più che di morire, lo spaventa il pensiero che un amico organizzi alla sua morte un torneo di calcetto celebrativo. Non capisce l’utilità del minuto di silenzio che definisce <il Bignami della disperazione>.
Alla fine si mette a piovere e la sua utilitaria si capovolge e il grande Parisi ci lascia sospesi tra la sua vita e la sua morte.
Mai sentito tante risate durante uno spettacolo. E tanti applausi da parte di un pubblico evidentemente appagato.
di Susanna Battisti
scheda tecnica: “A volte Maria, a volte la pioggia”/ Di e con Daniele Parisi/Foto di Manuela Giusto
(visto al TeatroBasilica di Roma)