S'io non avessi composto che questa sola commedia, credo che essa bastato avrebbe a procurarmi quella riputazione che acquistata mi sono con tante altre. Mi pare di non aver niente in essa da rimproverarmi, ed oserei proporla altrui per modello, se lusingar mi potessi che le opere mie fossero degne di imitazione
(Carlo Goldoni)Si parla di wifi e maxischermo, di pavimento di cemento effetto pietra, di Instagram e TikTok, eppure c’è Goldoni in tutta la sua verve.
La casa nova, commedia della maturità composta in dialetto veneziano, è riproposta fino a domenica 24 marzo 2024 al Teatro India di Roma nell’adattamento e traduzione di Paolo Malaguti e la regia di Piero Maccarinelli che ha brillantemente diretto una compagnia di giovani attori diplomati all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico, scortati da un generoso Stefano Santospago, che sembra uscito dritto dritto dai Rusteghi.
Un quinto rustego buono, solo e solitario come il burbero di buon cuore, è qui lo zio ricco e oculato a cui ricorrere quando si tratta di non affogare nei debiti, levati i capricci e accantonate le ambizioni di rivalsa sociale. Le stesse che con poche variabili sopravvivono sui nostri attici superattici pianerottoli e seminterrati, perché sono gli stessi i vizi e le debolezze dell’animo umano.
Lasciate perdere la casa nuova, gli inutili agi che non potete permettervi, i suggerimenti da interior designer di un architetto un po’ subdolo perlopiù interessato a mangiare “a gratis” e affidatevi semmai al verace geometra, senza farlo impazzire. Fatevene una ragione. Ricchi non siete e nemmeno arricchiti, quel po’ di capitale di cui potevate disporre lo avete sperperato tra frivolezze e illusioni e adesso a chi tocca tirarvi fuori dai guai?Al saggio e negletto risparmiatore di famiglia, il vecchio zio che d’ora in poi siederà a capotavola al pranzo di Natale. O almeno così ci lasciano sperare, a pezze ricucite.
Insomma è questa la situazione, questi gli umori. Il contrasto e la riconciliazione tra generazioni, molto goldoniano e sempre commovente, che vive intatto fino ai giorni nostri. La distensione che arriva sincera dopo il conflitto, oltre gli interessi biechi e l’attitudine a circuire, a farla franca finché ci serve e poi chi s’è visto s’è visto. Il trionfo dei giovani innamorati non è completo senza la benedizione dei vecchi e senza i loro favori. Che non mancano mai, purché si dia loro sempre ragione. (“Mi basta sapere che ho ragione”, dirà più o meno il vecchio zio alla fine).
E il lieto fine arriva senza sacrifici ma anche senza menzogne, a dispetto delle intenzioni. Si comincia per interesse e si finisce in un quasi abbraccio che sa di pace e sollievo. I rapporti sono salvi, la famiglia ricomposta.
Lo spirito di Goldoni aleggia su questo spettacolo senza gravare, senza imporsi con manierismi e mossette che lasciano il tempo che trovano, quasi a dire “anche se vi credete cambiati, siete gli stessi poveri diavoli che si credono quel che non sono, c’ho visto lungo”. Però sono teneri e, alla fin fine, inteneriscono.
A immetterci nel clima è il veneziano della servetta e di un povero geometra che tra ordini e contrordini deve far contenti tutti giostrandosi come può senza il becco di un quattrino.
Sono loro che accolgono noi e i sedicenti futuri abitanti della “casa nova” in pieno trasloco, aggirandosi nella grande stanza adibita a soggiorno, fino al prossimo ordine, tra secchi, vernici, scaffali, un grande tavolo al centro pronto per essere apparecchiato per una cena che mai si farà, e le sedie impilate con ancora penzolante il cartellino del negozio, come dire appena acquistate e non ancora pagate.
Come tutto il resto d’altronde, compresi gli stipendi mai onorati della servetta, sempre fedele, nonostante tutto. Devota al padrone e alla di lui sorella, molto meno alla consorte, una decorativa e cinguettante signora che infila gaffes a manetta, sensibile al blasone e alle adulazioni di un conte che si porta a presso come una protesi.
Una commedia poco rappresentata (non ho mai assistito a nessun allestimento nemmeno da parte di filodrammatiche) senz’altro valorizzata da una messinscena moderna e da una traduzione molto libera che però restituisce, alleggerita, la rete di dialoghi e i rapporti tra le parti: la casa cantiere e il salotto della vicina, ovvero la precarietà di chi se la racconta e la solidità del tran tran quotidiano, lo spazio franco dove si concertano incontri e combini, tra una tazza di tè e un “te lo dico ma non dire a nessuno che l’ho detto”. Un piano rialzato arretrato che si anima dietro un velatino dove sono le donne, maestre di persuasione e impareggiabili artefici di strategie, a riannodare le fila.
La regia lavora sui tempi e sui ritmi sottolineando la comicità dei personaggi, il loro lato ridicolo, esasperando i caratteri e attingendo al repertorio di figure e figuri che sono tra noi. Molto divertente la scena il cui il povero Angelino, sopraffatto dai debiti e incalzato dal non meno povero creditore, si finge assorto in meditazione zen prima di liberarsi in un buffissimo pianto.
Tutti bravi e in possesso di una buona tecnica, ben assemblati e distribuiti con giusto criterio nei ruoli rispettivi. Sono Mersila Sokoli (Lucietta), Icopo Nestori (Angelino), Lorenzo Ciambrelli (il conte Ottavio), Edoardo De Padova (Toni), Alessio Del Mastro (Sgualdo), Sofia Ferrari (Rosina), Irene Giancontieri (Menichina), Andreea Giuglea (Cecilia), Ilaria Martinelli (Checca), Gabriele Pizzurro (Lorenzino), Gianluca Scaccia (Fabrizio).
di Alessandra Bernocco
“La casa nova” di Carlo Goldoni/Traduzione e adattamento Paolo Malaguti/Regia e impianto scenico Piero Maccarinelli/Con Stefano Santospago, Mersila Sokoli, Iacopo Nestori/e Con gli allievi attori dell’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico./Costumi Gianluca Sbicca/Luci Javier Delle Monache/Musiche Antonio Di Pofi/Aiuto regia Danilo Capezzani/Assistente alla regia volontaria Serena Spanò/Costumi Sartoria Bàste srl/Foto di scena Claudia Pajewski/Produzione Teatro di Roma Teatro Nazionale
Al Teatro India fino al 24 marzo 2024