Un Misantropo che più Molière non si può, quello allestito dal Teatro Franco Parenti di Milano, al secondo anno di repliche. Mi viene da dire finalmente un classico fatto come un classico. Uno di quei lavori che non ti aspetteresti e che quindi ti stupiscono. Lavorato di cesello, dalla traduzione alle luci al trucco e parrucco ai minimi accessori, quelli che magari nemmeno si distinguono già dalla quarta fila.
Mese: Novembre 2024
Corpi. Agglomerati di corpi dai quali si staccano scampoli organici che poi si scoprono interi, figure erette che danno inizio a una danza tribale scandita dal battito dei piedi, sempre più insistente e frenetico, sostenuto dal rumore forte dei respiri e da versi primordiali che segnano il tempo. Per poi riaccasciarsi a terra, sfiniti, a ricostituire con la confusione dei corpi un’interezza.
Parthenope, ultima avventura cinematografica di Paolo Sorrentino, è un quadro dipinto con i colori del simbolismo e i pennelli del surrealismo. Una pellicola che diventa, per dirla con le parole di Aristotele, poesia che dice piuttosto gli universali e non i particolari come invece fa la storia. La stessa musica incarna, evocandole, quelle immagini inconsce che il nostro linguaggio non riesce esprimere. Sorrentino procede elaborando esperienze e pensieri che spostano la nostra percezione su un piano simbolico, una involontaria ricerca antropologica che incarna una vera e propria Foresta dei simboli, in cui riti e miti diventano l’unità fondamentale, perché l’uomo, come afferma il filosofo tedesco Ernest Cassier, costruisce il mondo attraverso i suoi processi di simbolizzazione.