“- Gli amori giovanili non sono serviti a niente
- Non è vero, sono serviti a donarci l’illusione della spensieratezza.”.
(dal film)
Parthenope, ultima avventura cinematografica di Paolo Sorrentino, è un quadro dipinto con i colori del simbolismo e i pennelli del surrealismo.
Una pellicola che diventa, per dirla con le parole di Aristotele, poesia che dice piuttosto gli universali e non i particolari come invece fa la storia. La stessa musica incarna, evocandole, quelle immagini inconsce che il nostro linguaggio non riesce a esprimere.
Sorrentino procede elaborando esperienze e pensieri che spostano la nostra percezione su un piano simbolico, una involontaria ricerca antropologica che incarna una vera e propria Foresta dei simboli, in cui riti e miti diventano l’unità fondamentale, perché l’uomo, come afferma il filosofo tedesco Ernest Cassier, costruisce il mondo attraverso i suoi processi di simbolizzazione.
Una trama semplice che racconta la vita di una donna, nata a Napoli nel 1950, fino ad arrivare ai nostri giorni. Un viaggio nel tempo che non si esaurisce con i titoli di coda, anzi è proprio quando lo schermo diventa buio che Parthenope inizia il suo processo di elaborazione nella mente dello spettatore, indipendentemente dal giudizio estetico sul film.
Una sceneggiatura che scuote il pubblico per la sua capacità di rimandare a figure arcane e significati archetipi contenuti nel nostro inconscio collettivo.
Si racconta del trascorrere del tempo con lo sguardo, quello di Parthenope adulta (Stefania Sandrelli), di chi sa guardare al di sopra per ricostruire il passato, rintracciando identità e conoscenza. Parthenope guarda con gli occhi di chi ha imparato a vedere senza giudicare e con la consapevolezza, non vittimistica, di un’infelicità che non risparmia bellezza e giovinezza.
Si racconta di un kronos che non incontra mai il kairos, un tempo che nel suo trascorrere, così come avviene per le domande che la vita pone, non coincide mai con il momento giusto. Una vita fatta di dissonanze che si trasformano in una profonda chiave di lettura verso un tempo che tutto divora.
Personaggi e luoghi rimandano alle tappe di un viaggio interiore, un’Odissea al femminile più vicina all’idea di Joyce che non a quella di Omero. Quello di Parthenope (Celeste Dalla Porta) è un monologo interiore, il suo flusso di coscienza proietta immagini, emozioni e i ricordi di una vita che può essere solo contemplata quando la passione non agisce più sul piano fisico e psichico, quando ormai è tutto compiuto.
Anche Parthenope, come Molly Bloom di Joyce, compie il suo viaggio arricchendosi di diversità, ma restando sempre libera e fedele a sé stessa; non si lascia assorbire neanche dai suoi rapporti sessuali, vissuti quasi come atti senza importanza, resta immune da ogni tentativo di contaminazione volgare.
Parthenope è Napoli e Napoli è Parthenope, corpo e luogo si confondono, sconfinano in una religiosità misterica e iniziatica. C’è una realtà raccontata che va oltre la materialità del corpo o del luogo, una ricerca di individualità e universalità fatta di anima e genius loci.
La vita che trascende il corpo, piccola cosa rispetto alla grandezza dell’infinito, segnando il passaggio dal desiderio di affermazione individuale, alla gnosi e alla spiritualizzazione.
Il bene e il male si alternano nella dualità della natura umana, bellezza e demoni emergono come nei racconti di John Cheever, lui (Gary Oldman) segnato dal dolore profondo per tutto ciò che non è stato, quasi a riscoprire un senso del sacro e dell’amore che vale per tutti.
Ogni personaggio è il simbolo della natura umana, dell’anima stessa di Napoli, una città divisa tra superstizione, popolarità, mondanità e quel folklore che sconfina fino al grottesco.
Tesorone (Peppe Lanzetta), il vescovo che presiede al miracolo di San Gennaro, è una figura kafkiana e soccombe davanti alla bellezza di Parthenope che diventa sacerdotessa del tempio, custode del tesoro di Napoli, pur rimanendo estranea alla perversità demoniaca del prelato. Anche l’invettiva contro i napoletani, da parte di Greta Cool (Luisa Ranieri), indubbia caricatura farsesca di un altro simbolo della città, è il frutto di quel sentimento che solo un figlio di quella terra, come per gran parte del Sud dell’Italia, può incarnare e comprendere.
La nascita di Parthenope avviene in acqua in un’ambientazione teatrale, un rada come un’orchestra di un antico teatro greco, con gli spettatori che dalla cavea fatta di palazzi, terrazze e case assistono a una sacra celebrazione che vede la nascita di Parthenope in acqua, proprio dove la leggenda narra del suicidio della mitica sirena Parthenope a causa del rifiuto di Ulisse.
Il nome scelto dal Comandante, l’armatore Achille Lauro (Alfonso Santagata), altra figura simbolo di una Napoli populista e incarnazione dell’esuberanza del benefattore animato da interessi clientelari.
Il viaggio di Parthenope esplora il cuore della città, i quartieri storici, una sorta di discesa nei gironi danteschi, dove la luce e le ombre sottolineano le ambiguità e i contrasti sociali. Tra i vicoli e i vasci incontra i miserabili per scelta o per destino, quasi dei tableaux vivants di quadri di Gustavo Dorè, atmosfere sognate, felliniane nella restituzione della profondità dei sentimenti.
La luce caravaggesca diventa fattore essenziale capace di restituire la dimensione umana ritratta nei volti in tutta la sua tragicità. È proprio nel ventre della città che si incontra, ancora una volta, il sacrificio rituale: il matrimonio sacro, ierogamia e unione sessuale tra due prescelti, amplesso consumato su un talamo che diventa altare votivo, esposto alla vista dei seguaci coinvolti in un moderno baccanale che cadono preda di una folle frenesia generativa.
Ma la vita nasce dal vento, così il padre di Parthenope (Lorenzo Gleijeses) e il fratello (Daniele Rienzo) diventano come Zefiro nella Primavera di Botticelli, un soffio leggero che dà la dimensione della fertilità e della femminilità di due donne, madre e figlia, sacralizzate da due uomini tratteggiati come figure deboli, quasi disadattati davanti alla vita e che dalla vita fuggono entrambi a loro modo.
In mezzo a tutta questa energia, a tratti oscura e contraddittoria emerge la figura di un mentore, uno spirito guida, il professor Devoto Marotta (Silvio Orlando), che rappresenta la Napoli accademica e senza mai giudicare accompagna Parthenope verso la conoscenza e l’equilibrio.
La tragica morte del fratello di Parthenope rappresenta uno spartiacque tra la giovinezza è l’età adulta, la separazione necessaria per una rinascita che significa evoluzione e crescita.
Anche la morte tragica di Raimondo è una metafora di un rito di passaggio tra due età con la conseguente perdita della spensieratezza.
Ad attendere Raimondo sul ponte che unisce due universi, la vita e la morte, c’è una sorta di mostro, un ragno meccanico, uno psicopompo che accompagna quella parte di giovinezza verso una dimensione ormai consumata.
I getti d’acqua che fuoriescono dalle zampe del mostro meccanico purificano le strade dall’epidemia di colera, dalla dimensione estetica della giovinezza, riportando un nuovo equilibrio e aprendo la strada a una dimensione etica che finirà per diventare religiosa quando, sul finire della vita, Parthenope si ritroverà davanti all’unicità dell’esistenza, uno sguardo solitario indice di una libertà che è stata da sempre la sua strada.
Parthenope si libera dalla sofferenza che ha segnato la sua giovinezza grazie al professor Marotta e all’antropologia che insegna a vedere.
Il suo stato di pace, Parthenope, lo raggiunge davanti a un’altra figura simbolica, quello del figlio di Marotta. Un essere sovrumano che rimanda all’immagine di un Budda bianco, libero dal dolore per il suo essere lontano dalle cose terrene.
Un essere di acqua e sale, simboli di vita e sapienza, bello agli occhi di Parthenope perché lei ha imparato a guardare e a vedere, secondo un’idea platonica, la bellezza in ciò che è buono e il buono in ciò che è bello.
Scheda film: Regista: Paolo Sorrentino Genere: Drammatico, Fantastico/Anno: 2024 /Paese: Italia/Durata: 136 min/Data di uscita: 24 ottobre 2024/Distribuzione: PiperFilm
Parthenope è un film di genere drammatico del 2024, diretto da Paolo Sorrentino, con Gary Oldman, Stefania Sandrelli, Celeste Dalla Porta, Dario Aita, Daniele Rienzo, Luisa Ranieri, Isabella Ferrari, Silvio Orlando, Peppe Lanzetta, Lorenzo Gleijeses, Alfonso Santagata, Biagio Izo, Marlon Joubert. Uscita al cinema il 24 ottobre 2024. Durata 136 minuti. Distribuito da PiperFilm.
di Maria Concetta Loria