… va notato che la natura che noi facciamo apparire nella seconda parte della nostra vita, non è sempre, anche se lo è spesso, la nostra prima natura sviluppata e appassita, ingrandita o attenuata; talvolta è una natura inversa, un vero e proprio vestito rivoltato
(Marcel Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore)Sarà una coincidenza ma nel giro di pochi giorni mi sono trovata ad assistere a due operazioni teatrali dedicate alla letteratura monumentale. Veri e propri tomi di migliaia di pagine finiti sulle tavole di un palcoscenico. Con approcci ed esiti differenti, ma entrambi retti da poetiche e linguaggi profondamente identitari.
Il Faust di Goethe, due volumi per un totale di milleduecento pagine e La Recherche di Proust, sette volumi per tremilasettecento.
Il primo diretto da Leonardo Manzan (https://www.liminateatri.it/questo-faust-non-si-ha-da-fare-di-alessandra-bernocco/ ), che con la letteratura si era già sperimentato nel 2018 con uno spettacolo sul Cyrano de Bergerac di Rostand (https://www.multiversi.net/2022/12/02/cirano-deve-morire/ ), il secondo da Marco Filiberti, fondatore tra l’altro de Le vie del Teatro in Terra di Siena, un cantiere di studi improntato a quella che, ispirandosi alla figura di Lord Byron, ha definito “drammaturgia del rovinismo”. Lo smarrimento di noi contemporanei di fronte alla dissoluzione degli archetipi, uguagliati e inghiottiti “nella selva della modernità”.
Questo, insieme alla concezione di spettacolo come “accadimento”, costituisce un caposaldo del suo lavoro di regista e drammaturgo, confluito nel progetto Recherche avviato nel 2022, presentato in forma di studio a luglio 2023 e riproposto il 6 e il 7 dicembre 2024 a Montalcino, Teatro degli Astrusi, all’interno della stagione organizzata dal Teatrino dei Fondi.
Cahiers d’Écriture I e II sono due studi preparatori per À la Recherche du Temps Perdu di Marcel Proust che si annuncia composta da tre parti collegate, da rappresentarsi separatamente in tre giornate.
Un grande evento, nella fattispecie detto “Accadimento drammatico”, previsto per il 2027 e che quindi si immagina fin d’ora frutto di un lento e capillare processo immersivo nell’ “opera cattedrale”.
Quello che è chiaro già dalle avvertenze del regista e che la visione degli studi ha confermato, è l’approccio sinestetico all’opera, indagata non secondo un andamento cronologico-narrativo ma attraverso categorie isolate che funzionano da centri di risonanza sensoriale, sorta di prismi che evocano, richiamano, alludono, disseppelliscono e rivelano mondi perduti catturati dai ricordi. Il tempo perduto e ritrovato, proustianamente, appunto: il Kronos divenuto Kairos, la suprema concentrazione di senso.
Il primo nucleo tematico (oggetto dello studio I) ruota intorno al sentimento mortifero della gelosia e sull’illusione del possesso di un altro essere umano e lo fa soffermandosi su tre rapporti ossessivi, persecutori, alienanti: Marcel e Albertine, giustamente sdoppiata in un corpo maschile e uno femminile (Albertine, inafferrabile fanciulla in fiore, nella realtà era un ragazzo), Swan e Odette e Charlus e Morel.
Il secondo studio invece mutua il titolo da un verso emistichio della Fedra di Racine, “On dit qu’un prompt départ …”, ovvero “Dicono che una vostra presta partenza” (vi stia allontanando da noi).
Qui Fedra, che è il doppio del Narratore, la figura che incarna l’amore malato e colpevole, è fatta vivere da due diverse figure femminili – Berma e Rachel – che rappresentano a loro volta due opposte manifestazioni dello spirito: l’abnegazione salvifica di fronte alla tentazione e all’amore impossibile, simboleggiato nel rifiuto di Ippolito, e la compromissione compiacente e compiaciuta con le cose del mondo.
Non ci è dato sapere come verrà allestito lo spettacolo finale, ma è certo che Proust e un’opera come questa, così densa di rimandi, digressioni, anfratti, meandri in cui inoltrarsi, perlopiù dimentichi del perché ti ritrovi lì, nel salotto di Madame Verdurin, nel parco degli Swan e in un palchetto a teatro, si sottragga per sua natura a una trattazione lineare, ligia alla narrazione, anche qualora si scegliesse di concentrarsi su una parte circoscritta o su una rapida scheggia di tempo.
Non stupisce pertanto l’idea di voler sondarne i motivi in modo rapsodico, lasciandosi catturare per una sorta di affinità, di disposizione e accoglienza di ciò che più ci somiglia (similia similibus iuvant), ci soccorre, ci preme.
Si sente Proust, soprattutto nel primo studio, che testimonia di un lavoro accurato sul corpo e sulla recitazione, che procede per dialoghi e momenti corali, risa pudiche e collettive, battute ripetute “a staffetta”, silenzi improvvisi che troncano situazioni di svolta. I movimenti sono fluidi e studiati, oggetto di coreografie precise, e la musica, fatta anche di suoni e rumori, è parte fondamentale della drammaturgia stessa.
Sulla scena quattro attrici e sei attori vestiti di chiaro paiono statue neoclassiche che si animano attraverso gesti significativi, stilizzati, generando oleografiche successioni di tableau vivant che si arrestano in fotogrammi chiave, sorta di sospensioni oniriche, plastiche rappresentazioni di un ricordo che si è affacciato alla memoria.
di Alessandra Bernocco
Cahiers d’écriture: due studi preparatori per À la Recherche du Temps Perdu di Marcel Proust/Un accadimento teatrale scritto e diretto da Marco Filiberti/Cast: Daniel De Rossi, Diletta Masetti, Giovanni De Giorgi, Zoe Zolferino, Luca Tanganelli, Martina Massaro, Pavel Zelinskiy, Alessio Giusto, Olimpia Marmoross, Irene Ciani, Alessandro Burzotta/Crediti: coreografia e movimenti scenici Emanuele Burrafato – sound designer Stefano Sasso – moduli di costume Daniele Gelsi – aiuto regia Matteo Fasanella – fonico Andrea Lambertucci – produzione Stefano Sbarluzzi e Sara Papini/Produzione: Dedalus srl, in collaborazione con Le Vie del Teatro in Terra di Siena e Quaderni Proustiani con il patrocinio Comune Città della Pieve