Porto in me un individuo irrivelato. Mi conosce, ma non so niente di lui, eccetto che la mia persona è la sua ombra con i suoi appetiti inconfessabili e il suo bisogno di segreto.
(Joë Bousquet)
Una vita di scrittura mi ha insegnato a diffidare delle parole. Quelle che sembrano le più limpide sono spesso le più traditrici. Una delle false amiche è proprio "identità". Noi tutti crediamo di sapere cosa voglia dire questa parola, e continuiamo a prestarle fede anche quando, insidiosamente, si mette a significare il contrario.
(Amin Maalouf)
Kornél Mundruczò è un regista teatrale e cinematografico ungherese, noto a livello internazionale e pluripremiato nei più prestigiosi festival di cinema e teatro, che arriva per la prima volta al Piccolo di Milano, al Teatro Strehler, con lo spettacolo Parallax in cui esplora il tema dell’identità di fronte ad antisemitismo, razzismo e queerfobia.
Il regista e la sua compagnia indipendente Proton Theatre, portano in scena una saga familiare che fornisce uno spaccato delle contraddizioni non solo dell’Ungheria contemporanea, ma di tutta l’Europa Orientale, riguardo all’ebraismo o alle innumerevoli discriminazioni subite dagli omosessuali e dalla comunità LGBT+.

In un piccolo appartamento del quartiere ebraico di Budapest, allestito sul palcoscenico in modo quasi maniacale con tutti gli arredi e i molteplici oggetti, si incrociano i destini di tre generazioni di una stessa famiglia: nella prima parte dello spettacolo la figura preminente è la nonna Ėva, di origine ebraica e sopravvissuta alla Shoah.
In un dialogo serrato con la figlia Léna, che vive a Berlino, afferma la sua intenzione di rifiutare una medaglia d’onore offerta dallo Stato ungherese ai superstiti dei campi di sterminio nazisti.
Nelle sue parole possiamo rivivere sì l’orrore della Shoah, ma anche tutta la difficoltà di trasmettere un’esperienza per molti versi indicibile; il rifiuto di essere catalogata come vittima, per non essere bloccata e costretta a ripetere in eterno quel ruolo; infine, traspare dalle parole di Ėva lo scetticismo circa il fatto che l’antisemitismo in Ungheria e in Europa possa essere stato definitivamente sconfitto, infatti consiglia alla figlia di non iscrivere il nipote in nessun registro come ebreo, per paura di future persecuzioni.
Léna, invece, è rientrata da Berlino perché vuole una prova della sua identità ebraica, affinché il figlio Jonas possa ottenere un posto in una buona scuola. Nel racconto della sua infanzia traspare l’accettazione ma anche il peso dell’eredità ebraica, e quindi della Shoah, trasmessole dalla madre, quasi che la sua fuga in Germania fosse stata dettata dalla volontà di sottrarre il figlio a quel fardello. In questa prima parte, sono già all’opera tutte le questioni poste dallo spettacolo, e soprattutto, la volontà di moltiplicare i punti di vista, proprio perché, secondo il regista, è attraverso di essi che diamo senso e anche significati diversi ad una stessa realtà.

In una intervista Mundruczó ha così spiegato il titolo dello spettacolo: “Ho scoperto il termine “parallasse” grazie al thriller The Parallax View di Alan J. Pakula. Questo concetto è applicato nelle scienze o nelle arti per mostrare come il cambiamento di posizione dell’osservatore possa modificare radicalmente l’osservazione di un oggetto. Nel rapporto con la Storia, tutto dipende dal punto d’osservazione”.
La scena di Parallax infatti si apre su di una geometrica struttura tripartita, al centro della quale vi è la stanza iperarredata della casa della nonna e ai lati due schermi che rimandano gli interni ripresi da due operatori, in questo modo si ottiene la moltiplicazione dei piani visuali. Qui il regista mostra la sua abilità tecnica nel controllare il linguaggio video. Questa parte dello spettacolo si conclude con una inondazione: cascate di acqua che si riversano sulla scena come a volerla cancellare e con essa la realtà che rappresenta, o forse assistiamo ad un rito di purificazione, come traspare dal comportamento di Léna che si lascia investire da quel diluvio.
Nella seconda parte dello spettacolo, invece, collocata alcuni anni dopo, arriva nella casa il figlio di Léna, rientrato a Budapest da Berlino per il funerale della nonna. Più che all’identità ebraica, Jonas sembra interessato alla propria omosessualità. Anzi, manifesta la propria indifferenza alle sue origini non preoccupandosi di organizzare, prima del rito funebre, nel soggiorno della nonna, un festino a base di sesso e droga con i suoi amici gay ungheresi venuti a salutarlo. Anche qui si manifestano diverse visioni dell’identità queer per il diverso contesto sociale, culturale e famigliare da cui i giovani provengono: da chi accetta pienamente il proprio orientamento sessuale a chi vuole celare la propria omosessualità, perché prova disagio di fronte all’ambiente circostante, la reazionaria Ungheria di Viktor Orbàn, oppure è addirittura disposto a sacrificare la propria diversità in nome di valori “comunitari” intrisi di eterosessismo e riferimenti alla famiglia tradizionale, che in fondo condivide.
Nella rappresentazione realistica dell’orgia, Mundruczó sembra contraddire le sue affermazioni, contenute nel prosieguo dell’intervista citata sopra, di non essere più interessato all’idea di “provocazione, stranezza o eccentricità”, ma è anche vero che siamo lontani da atmosfere “porno”, gli attori sembrano figure che sulla scena mimano gli atti sessuali piuttosto che dare l’impressione di eseguirli dal vivo.
Nella terza parte dello spettacolo riappare Léna, anche lei arrivata a Budapest per il funerale della madre. Entrata in casa e capito quello che è successo, cerca un confronto con il figlio cui rimprovera di non avere rispetto né per la nonna né per l’ebraismo. Dopo l’alta drammaticità della prima parte e lo straniamento provocato dalla seconda, in questa sezione non si può non notare una certa povertà dei dialoghi, pieni di luoghi comuni non salvati dall’ironia e dalla forza con cui vengono dette alcune battute. Nello stesso tempo, Jonas, già a disagio con l’identità ebraica e comunque non disposto a riconoscersi neppure nella rappresentazione degli omosessuali data dai suoi amici, come non accetta di essere né tedesco, né ungherese, sembra coinvolto in una crisi d’identità analoga a quella di Vitangelo Moscarda, il personaggio del romanzo di Pirandello: Uno, Nessuno e Centomila, che vorrebbe sottrarsi alle molteplici rappresentazioni che gli altri hanno di lui per cercare l’autenticità dell’esistenza, tranne poi non sapere da dove cominciare e ritrovarsi perduto in un vuoto esistenziale.
In conclusione, il modo di fare teatro del regista ungherese, pur molto sofisticato e spettacolare, ma sicuramente allineato con molte produzioni europee ad alto budget, anche se tratta un tema così controverso come quello dell’identità e si pone come obiettivo di “far emergere le contraddizioni della condizione umana”, dà una persistente impressione di mancare il suo obiettivo. Più che un’esperienza di decentramento dei punti di vista vediamo agitarsi sulla scena personaggi che, a prescindere della nonna che vive tragicamente la propria condizione, sono immersi in sé stessi, sono incapaci di comunicare con gli altri, se non per frasi banali e luoghi comuni, e per questo sono condannati a essere prigionieri delle proprie nevrosi, fino a quando un diluvio non distruggerà il mondo.
di Bruno Milone
(visto il 13 marzo 2025)
Kornél Mundruczó / Teatro Proton
PARALLASSE
PRIMA NAZIONALE
testo scritto da Kata Wéber, comprendendo anche le improvvisazioni della compagnia
regia Kornél Mundruczó
con Lili Monori, Emőke Kiss-Végh, Erik Major, Roland Rába, Sándor Zsótér, Csaba Molnár, Soma Boronkay
scena Monika Pornole
costumi Melinda Domán
luci András Éltető
collaborazione artistica e produttrice Dóra Büki
drammaturgo Soma Boronkay, Stefanie Carp
musica di Asher Goldschmidt
coreografia Csaba Molnár
produzione Proton Theatre in coproduzione con Wiener Festwochen | Freie Republik Wien, Odéon-Théâtre de l’Europe, Comédie de Genève, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, HAU Hebbel am Ufer, Athens Epidaurus Festival, Festival d’Automne à Paris, Maillon Théâtre de Strasburgo – Scène européenne, International Summer Festival Kampnagel – Hamburg, CNDO Orléans, La Bâtie – Festival de Genève con il supporto di Gábor Bojár e dott.ssa Zsuzsanna Zanker, 220volt, Számlázz.hu, Minorities Talents & Casting, Danubius Hotels
Consigliato a partire dai 18 anni per la presenza di scene di nudo integrale e di atti sessuali espliciti
Spettacolo in lingua ungherese con sovratitoli in italiano e in inglese