Il cuore umano a me dà l’impressione di un pozzo profondissimo.
Nessuno sa cosa ci sia laggiù.
Si può solo cercare di immaginarlo dalle cose che ogni tanto vengono a galla.
(Haruki Murakami)
Un’attrice entra in un teatro con una motosega, rumorosa e spaventosa (finta). Non siamo mica preoccupati. Eppure il riflesso emblematico di chi taglia gli alberi ha cominciato a infastidirmi: perché usa quella motosega? (Il rimando è stato per me: vuole tagliare roba viva).
Il teatro è vivo? I teatranti, i critici, i registi, chi si occupa delle luci? O sono stati “segati” (fig. pop) dalla pandemia? O da loro stessi, dal sistema, dai finanziamenti iniqui, e da mo’…?! Il pensiero ronza come quel giocattolo, e diventa lo sfondo per accogliere quest’opera nuova. Sempre con quel filo (spinato) di polemica, tipica tutta mia, e oramai caratterizzante: odio le motoseghe, mi tirano fuori parole convulse. Smettila!
Ma no che non sono morti, neanche con la pandemia, mo’ perché sono morta io deve essere morto tutto il paesaggio? Continuano a fare teatro, pure se è diventato ancora più difficile, molto molto più difficile. Onore a loro.
Quella donna con la motosega si sta infatti ribellando, questo ci dice, vuole distruggere ciò che non va, tutto ciò che l’ha offesa, limitata nel tempo, tutto ciò che ha ferito il suo cuore: gli uomini. Ma basta! Ma no! Non è la solita cosa che parla degli uomini nei rapporti di coppia. Si tratta degli uomini che decidono il bello e il cattivo tempo anche nel teatro…(di chi deve recitare e chi no, tipo). E vabbè (connettivo multiuso), oramai c’è un coro di donne che si lamentano del maschilismo in ogni dove. In tutti i campi, in tutti i settori. E allora fatevene una ragione! Ci siamo rotte (no, no, no…non è una parolaccia! Voglio dire che siamo state rotte, e non è più sopportabile questa condizione di sparpagliamento dei nostri stati d’animo, di genere, ed è per ciò che cerchiamo di farne massa critica, spontanea…di quei nostri stati d’animo).
E certo però, le donne, proprio perché donne, in teatro servono, non è come per la politica, almeno per quanti sono i ruoli femminili nelle storie che si vivono dal palcoscenico. Mica saremo tornati al teatro che era prima della Commedia dell’Arte (spero)? Ma se le attrici rimangono incinta, se invecchiano, se dicono di no alle avances del regista o del primo attore…vengono “segate”, appunto, sostituite, e forse non faranno più le attrici. Se poi si mettono col regista, nel senso che ci fanno l’amore, non ne parliamo…segate per sempre. Ma come, non sono stati in due a farsi fare l’amore?! Eh! Ma lei voleva la parte…
E che fine fa un’attrice che non può più fare l’attrice? Chi se lo chiede?! Mah! Farà l’operatrice di un call center inps (a proposito, le avete viste, fra tutte queste manifestazioni generali, le call center inps segate?! E da che parte state?! Come vi polarizzate per queste minoranze?).
In fondo, una mica può fare l’attrice per sempre! (O la critica teatrale). Prima o poi, realisticamente, (ti) devi trovare un lavoro stabile e serio. Che? Una vuole fare la giornalista e la fa?! Ma dai, su! (iscritta all’albo da 17 anni, porta pure male quest’anno, ho sempre dovuto pregare per scrivere, e certo non scrivo male)
Lo spettacolo è ragionato a episodi, frammenti, senza inizio né fine, piccole vicende disastrose. Niente interezza. Perché le protagoniste di queste vicende sono meteore, passano. E come i capitoli della nostra vita, dove piccole tragedie segnano scelte, che passano, anche su questo palcoscenico piccole tragedie passano.
Una danzatrice vola con le sue ali, i piedi, e il suo vestitino rosa che è sulle punte accarezza le tavole di legno di questo spazio sociale, che non se ne interessa poi tanto. Che ce ne facciamo di armonia e bellezza? E così a un certo punto cade. E dopo? Niente più! Non riesce a ballare come le piace vivere. Che scena struggente vederla ancora respirare a terra su quelle tavole. Trema o respira? Piange? Tutti i suoi organi davanti a noi sono in agonia. La sua vita di donna, persona, danzatrice è finita? E per voi è finita?
Così ho interpretato la drammaturgia di Angela Di Maso, trasformare la propria esistenza, diversa dalle altre, in qualcosa di collettivo, “offrire i luoghi della propria memoria e della propria intimità”, fare delle proprie sconfitte i passi di danza che servono a tutti, anche se poi alla fine, per quei passi, ci siamo rotte. Fare di tutta la propria esperienza un dialogo che non si spegne, sulla vita, sulla morte, e sul Teatro. Sperando sempre di farlo con gli spettatori (che restituiscano in emozioni collettive le loro vite stesse).
Interessante la regia a pezzi di Alvia Reale. Molto brave le due attrici: la stessa Alvia Reale (da sempre fra le attrici più espressive e ribelli della scena attuale) e Daniela Giovanetti.
Visto al Teatro Basilica di Roma, all’interno del progetto “Frammenti”.
Chiara Merlo