"Sa quanto può essere forte un solo uomo?"
(Fëdor Dostoevskij, I Demoni, Feltrinelli, pag. 334)
"...e si sa che la paura di un nemico abolisce anche il rancore nei suoi confronti"
(Fëdor Dostoevskij, I Demoni, Feltrinelli, pag. 293)
Sembra che ci siano momenti nella storia di tutti gli uomini in cui si debba riflettere forzatamente sui demoni dell’odio, della repressione e del servilismo del pensiero, demoni che non contenti di lacrime invisibili vogliono urlare eccessi di rabbia, anche se apparentemente ingiustificati.
E quella rabbia non può giacere sotto un masso a lungo, schiacciata ma non soffocata, prima o poi tira via quel masso e viene fuori come una guerra, una guerra contro tutti, ed è per questo che tutti vengono investiti. In un conflitto (esistenziale) totale.
Apparentemente le guerre hanno origini economiche, e piccoli devastanti focolai di sviluppo vigliaccamente ignorati, negati, rimossi. Sintomi di guerra totale, dove invece è l’odio, l’odio ormai globalizzato, sempre latente, che ci appartiene in ogni dove di questa terra (quella rabbia insopprimibile del genere umano contro il genere umano per le condizioni di vita disperate dei più), che spinge da sottoterra a esplodere contro chiunque non sia asservito al pensiero comune.
Rassicurante, maggioritario, comodo, distribuito e rafforzato dal Consenso (vogliamo dire economico, del capitale), oppure imposto con la violenza da Regimi Totalitari irriducibili (e comunque neocapitalistici), nazisti, comunisti e/o religiosi.
In ogni caso, i violenti della terra non si esprimono in minoranze (e neanche con le lobby gay, come sostiene il Patriarca), si esprimono in forme politiche (di consenso o di regime) dove le maggioranze di uomini sono asservite al pensiero dominante di quella specifica, storica, culturale, parte geopolitica. Quindi: blocchi maggioritari di pensiero contrastanti.
La Russia, la Cina e l’Occidente (l’Europa con gli Stati Uniti, seppure con varie sfaccettature) rappresentano ora quei blocchi di pensiero e di odio più che mai. E la Russia e l’Occidente (Europa – Stati Uniti) si odiano soprattutto dalla seconda guerra mondiale, proprio per le ragioni della seconda guerra mondiale. (Se non si fossero impicciati gli americani, forse saremmo stati tutti russi? Se non ci fossero stati anche i russi a salvarci, forse saremmo adesso tutti trumpiani?).
Di che genere è per esempio il nostro “nazionalismo“, ed eccoci qui a verificarlo, se c’è, se non c’è, e di che tipo. Come ogni Stato di questo vecchio continente si sta chiedendo ormai da tempo, e dopo la Germania di Hitler.
Un conflitto non risolto da settant’anni, destinato a tirare via ora quel masso…conflitto non metabolizzato, e che perciò fino a ora si era espresso a lato, a sud, in tutto il Medio Oriente, con dietro però sempre gli Americani (la Nato), noi Europei a strascico, e certo anche i Russi, a tratti anche i Cinesi (per una loro ormai riconoscibile e continuativa strategia di penetrazione commerciale), anche se poi i Cinesi, come stiamo constatando, sono sempre quelli che aspettano sulla riva del fiume ogni preordinato risultato (e chiedo venia per questa mia così stizzita banalizzazione): Africa nord-orientale (Egitto e Libia), i paesi della Fertile mezzaluna (Siria, Libano, Giordania, Iraq e Israele), le nazioni della penisola Arabica (Arabia Saudita, Yemen e Yemen, Kuwait, Bahrein …) da troppo tempo sono in mano a gruppi di potere asserviti, asserviti un po’ al pensiero di qua e un po’ al pensiero di là. Di qua e di là, ancora tra positivismo e utilitarismo.
“Maledetto romanticismo!” (dice Dostoevskij), quasi a voler suggerire che il romanticismo (filosofico, fino a Hegel) con il suo idealismo estremo (tedesco) possa essere in definitiva la causa per ogni degenerazione nel novecento (materialista) del settecento (illuminista). Causa dell’utopia marxisista e del super uomo di Nietzsche.
E siamo ormai a questo punto, ben dentro nella terza guerra mondiale! Sia o non sia termonucleare. Il nucleare è solo un supporto, è il pensiero del conflitto che è purtroppo avanzato (in risposta a quelli che dicono: “ci sono altre guerre, ci sono sempre state, soltanto adesso ve ne siete accorti?”), si è spostato al centro, è finalmente frontale, aperto, chiaro e netto, con i bersagli non più laterali e solo di avvertimento (nonostante il tragico e l’indifferente), ma nel cuore delle culture dominanti, a ristabilirne i confini ideologici (davvero pensavate che le ideologie fossero crollate?), anche se gli Europei in particolare non vogliono proprio accettarlo. Non vogliono vedere. Che struzzi! E invece si tratta proprio di loro, che lo accettino!
Che lo accettino tutti gli Europei (non a caso inconsapevolmente compatti, ma solo su linee approssimative di difesa e di comunicazione, di linguaggio), che accettino che sono ancora il cuore culturale dell’Occidente, e che lo accettino gli italiani, che, nonostante la settimana della moda, una parte del mondo ce l’ha finalmente apertamente con loro, furiosamente con noi, con la nostra cultura, ma non per la ricchezza, apparentemente per la ricchezza, perché con la ricchezza abbiamo fatto di tutto per comprare le altre culture, o le abbiamo umiliate intrufolandoci subdolamente nella loro quotidianità. E quando quelle culture sono arrivate da noi per essere accolte, migrando, a causa soprattutto della povertà per la situazione mediorientale causata, le abbiamo appunto asservite, ai nostri più beceri costumi e comportamenti violenti.
Per distanza di pensiero, li abbiamo sfruttati (non è forse un fuorionda che cristallizza: cameriere, badanti, amanti? Donne!). La nostra cultura politico-mediatica che finalmente apertamente si esprime, non più dal sottosuolo!
Non urlate: “noi occidentali siamo ipocriti”, il cinismo viene fuori così limpido nei fuorionda che ci inchioda come non mai alle nostre misere verità interiori.
Ma spostiamoci a osservare anche dall’altra parte, forse con meno strumenti, ma… Una bella fetta del mondo (noi) ce l’ha con i cinesi e i russi, per quella loro cultura positivistica, pagana, bugiardamente distributiva, senza progresso invece, senza evoluzione culturale, almeno apparentemente (sì certo, come da noi), poi chissà invece nel sottosuolo, e perché sono culture costrette, annichilite, manomesse, censurate (che orrore la censura!). Eppure, quell’altra parte diventata gigante a questo punto (e nonostante la pandemia), così arricchita dai soldi, difesa radicalmente con le oppressioni, e subdolamente, anche lì, con la ricchezza, la ricchezza delle risorse per la ricchezza del guadagno, e contro ogni tipo di opposizione intellettuale, con gli scrittori messi al bando, è quella che ora più chiede una sua contemporanea definizione (nonostante gli amarcord mediatici ideologici).
Il potere che si esprime e si mantiene in ogni caso con i soldi, in Occidente, e in Oriente, ostentato a scapito della sopravvivenza stessa dei propri popoli affamati, popoli dappertutto ormai poveri e in viaggio. (Del resto, non siamo anche noi più poveri e in viaggio da tempo, noi che andiamo sempre di più a lavorare all’estero, a vivere all’estero, perché qui non ci sono soldi, nonostante il benessere?!)
La Russia è per questo che sta sfidando tutto l’Occidente, in una impresa che, a impulso, non si può che giudicare quanto meno folle: la conquista dei territori che una volta erano L’Unione Sovietica. Di sorpresa (?), cominciando da Kiev e dall’Ucraina (ma non per denazificare, come può un nazista denazificare, andiamo! Che argomenti sono?!). Per ribadire quelle ragioni imperiali di una ormai quasi secolare resistenza alle derive culturali per come le si mostrano ai margini.
E infatti l’Ucraina vuole essere europea! I Balcani sono già europei. Sì, l’Ucraina vorrà appartenere anche alla Nato, ma soprattutto vuole essere europea, vuole essere occidentale. E come la mettiamo? Il Patriarca russo Kirill ce lo spiega: bisogna fare la guerra contro i gay. Mentre in videoconferenza gli inglesi (che non sono più europei) applaudono e si alzano in piedi (gli inglesi?) di fronte a un Zelensky estremizzato, combattivo, e ormai considerato di fatto, sì un eroe, ma soprattutto un europeo, “uno di noi”. Che guaio! Uno di noi contro Putin!
La guerra è per odio culturale, che sia finalmente evidente. Non ci sono altre ragioni, un odio ben distribuito nei sotterranei di tutte le città del mondo, spinto solo a esplodere per il pretesto che è il petrolio.
Ed eccoci a Dostoevskij…quando l’odio nascosto nelle nostre viscere per i russi spunta fuori dalle università in maniera cosi sciocca e incosciente, lui paradossalmente rivive, con tutto il suo sangue che ci ha buttato addosso. Il mio amato Dostoevskij del sottosuolo! Tirato fuori così a brandelli, dilaniato, ancora metafora del nostro tempo, metafora plastica.
E Dostoevskij s’era andato a ficcare lì dentro per sentirsi libero, anche di soffrire, finalmente di soffrire da solo, in solitudine, per quel “palazzo di cristallo” che vedeva così crepato in superficie. (Come vorrei farlo pure io, da tempo, se non fosse che l’uomo contemporaneo è già stato scoperto! Potrei ribadire la donna contemporanea…)
Quella sua continua sovreccitazione nervosa prossima alla disperazione, e al meglio della sua creatività (indole proprio russa) aveva spinto Dostoevskij, in tutte le vicende storico personali e disastrose della sua vita, a scavare, oltre la sepoltura sociale, nel sottosuolo della sua più intima esistenza, fino a trovare quell’ “ingegno crudele” (definizione del critico Michajlovskij) in “quell’eterno fondo” che gli ha fatto incontrare per la prima volta appunto il controverso uomo contemporaneo.
L’uomo del sottosuolo è l’uomo moderno, finalmente senza certezze e frammentato in intime contraddizioni. (Non certamente l’uomo di facebook, così motivato, sempre, a rappresentare se stesso, ma non dal suo sottosuolo, nel suo fondo, insicuro e fragile, fuori invece, da ogni sua friabile interiorità, e per escluderla, in gruppi di pensiero a scapito di altri gruppi di pensiero, bolle, dove l’appartenenza non è più alla propria individualità, personalità complessa, ma a categorie concettuali che sono, di forza, per quel consenso diffuso di cui parlavo, seppure polarizzato!)
L’antinomia di quest’uomo contemporaneo scoperta da Dostoevskij era il necessario risultato di una ribellione al razionalismo illuminista cui s’ispiravano il pensiero e l’azione politica dell’ala progressista della società colta russa, ma anche l’esigenza ultima di una ribellione all’utilitarismo e alla morale dell’utilità.
Un uomo, uno scrittore di tutti i tempi, e una spiegazione ultima: sottrarsi all’utilitarismo e al positivismo. Era per Fëdor fin troppo chiaro che nel vivere gli uomini andassero assai spesso contro il loro più evidente interesse, e che non fosse certo la ragione a determinare le scelte umane.
Ma alla futura società che volesse ancora ancorarsi alla “retta ragione” e ai “veri interessi” dell’uomo, egli ha consegnato con quest’opera contemporanea (dal sottosuolo) soprattutto il sarcasmo più feroce rivolto al “palazzo di cristallo”…“E allora costruiremo un palazzo di cristallo.”
L’immagine del palazzo di cristallo diventa il simbolo del progresso e del materialismo (ma di cristallo), una struttura dei più dove l’individuo si perde e perde la sua volontà individuale. Ogni singolo uomo viene paragonato a un tasto rotto di pianoforte. Gli uomini contemporanei dell’uomo del sottosuolo vogliono essere felici a tutti i costi ma non sono liberi, perché solo la sofferenza del sottosuolo può renderli liberi.
Il grandioso palazzo di cristallo si oppone all’angusto “buco di cantina” in cui vive il narratore amareggiato e solo, ma libero. “Nel palazzo di cristallo poi [la sofferenza] è addirittura inconcepibile: la sofferenza è infatti dubbio, negazione, e che sarebbe un palazzo di cristallo in cui ci si potesse abbandonare al dubbio?” “Non sarebbe poi possibile che all’uomo non piaccia soltanto lo star bene? Che gli piaccia anzi altrettanto la sofferenza? Che lo star male gli sia di vantaggio giusto quanto lo star bene?”.
Nel palazzo di cristallo non c’è spazio per la sofferenza e nemmeno per l’individualità dell’uomo.
L’individualità dell’uomo. Non l’uomo solo al potere, come i più interpretano oggi l’individualismo, l’uomo invece all’addiaccio, ridotto ormai a essere soltanto se stesso in mezzo ai più, ai troppi. Il singolo che non riesce a contrastare le masse assoggettate al capitalismo, e non può contrastare le masse assoggettate ai regimi tirannici. Né quei regimi tirannici. Il singolo che però non si suicida, scrive, quella scrittura che può essere censurata, ma che vince sempre e comunque sulla morte.
Dostoevskij prese spunto per la sua metafora dal Crystal Palace, un edificio in stile vittoriano che fu eretto per la prima Esposizione Mondiale di Londra nel 1851. Lo vide in un suo viaggio in Inghilterra all’inizio degli anni ’60 del XIX secolo. Il concetto del palazzo di cristallo è molto complesso, se ne possono fare diverse letture. Il narratore lo teme in quanto di cristallo per cui non si può nemmeno tirar fuori la lingua di soppiatto e nemmeno ribellarsi “di nascosto”.
L’obiettivo dell’uomo del sottosuolo è l’autarchia totale del soggetto, mentre il mondo celebra il palazzo di cristallo come simbolo del progresso e della società industriale, Dostoevskij ci vede già la decadenza dell’umanità, la negazione di qualsiasi libertà individuale. Se andiamo avanti nel ragionamento, certo a posteriori, arriviamo a leggere anche una critica ai vari totalitarismi storici alla George Orwell. Nell’ambito dell’arte si può invece legare l’opera di Dostoevskij ai surrealisti.
Ecco! Adesso è come se fossimo stati ficcati tutti in quel sottosuolo del mondo a forza, a ragionare (e a sopravvivere), ed è un’abitazione che rimette nuovamente, e forse definitivamente in discussione (se la minaccia atomica si concretizza) quella società che è in superficie.
Certo l’abitante del sottosuolo è ormai malato, ferito, incattivito, ma è ancora straordinariamente intelligente. “Io non dico malvagio, ma niente son riuscito a diventare: né cattivo, né buono, né ribaldo, né onesto, né eroe, né insetto. E ora trascino la vita nel mio angolo, tenendomi su colla maligna e magrissima consolazione che un uomo intelligente non può in verità diventar nulla e che solo gli sciocchi diventano qualcosa”. “Che cosa è infatti un uomo senza desideri, senza voglia e senza volontà, se non un tasto d’organo?”
Siamo tasti d’organo, rotti, singoli uomini che ormai hanno perso ogni volontà individuale, e perciò non sono affatto più liberi, né nel presente, né nel futuro.
Allora, come la mettiamo?
Chiara Merlo