Quasi tutte le persone sono altre persone. I loro pensieri sono le opinioni di qualcun altro, le loro passioni una citazione, le loro esistenze una parodia.
(Oscar Wilde)
Il conformismo c’è sempre stato. Solo che oggi si traveste fastidiosamente da anticonformismo.
(Edoardo Boncinelli)
Consapevoli che il mutamento sociale abbia come sua componente lo spontaneo aggregarsi, integrarsi di emozioni/umori (oppure deliri), pensieri/ideali collettivi, a chi osserva i cambiamenti, nell’analisi dei fenomeni culturali e sociali del nostro tempo, risalta che il non-luogo dei social network alimenta, spesso, atteggiamenti antisociali/depressivi che nella vita reale già sono, o purtroppo diventano, (gravemente?) patologici. Diverse infatti sono le forme di addiction, tutte più o meno preoccupanti, latenti o riconosciute, che su internet trovano la loro giusta definizione: la dipendenza cibersessuale, la dipendenza ciber – relazionale, il net gaming, il sovraccarico cognitivo. E però, al di là delle difficoltà emotive, relazionali, sessuali, strutturali, che sono individuali, e che attraverso la rete trovano un altro modo per “esprimersi” (e/o per aggravarsi), c’è poi un comportamento ancora più diffuso che, apparentemente ascrivibile a un atteggiamento di tipo culturale/politico condiviso, trova nell’anticonformismo impulsivo/compulsivo di ognuno una modalità aggressiva stavolta più aggregata e più violenta (disperata) di radicalismo reazionario comune. Una forza fuori misura, e a volte fuori contesto, che, seppure virtuale (e apparentemente contro-culturale e/o sotto-culturale) è il risultato, o il risvolto, di un radicalismo di maggioranze violente e occulte (nella misura in cui non possono essere controllate), e che si confermano come del tutto integraliste, con decisive ripercussioni preoccupanti, o radici inedite, nella realtà e nei processi di vittimizzazione/criminalizzazione.
Radicalismo reazionario
Questo radicalismo reazionario ha una sua modalità comunicazionale (spesso ideologica) polarizzante, del conflitto a tutti i costi, con la provocazione come metodo e l’insulto come risultato. Tanto, specie se ti trovi nascosto in gruppi virtuali sui social, poi non sei così reperibile, e assai di frequente neanche identificabile, puoi gestire i commenti ai tuoi post cassandoli velocemente, mentre le tue affermazioni subdole o violente possono rimanere stigmatizzanti e lapidarie a lungo, quanto vuoi, armi improprie per impropri illeciti, e che perciò con molta difficoltà verranno sanzionati. L’unico strumento ammesso, anche a condotte verbali riprovevoli, è di gradimento, è il “mi piace”. La politica del consenso passa anche da qui.Queste modalità comunicazionali/virtuali di gruppo portano purtroppo, non di rado, a fenomeni che non restano certo solo virtuali di vittimizzazione. Pensiamo alle battaglie mediatiche contro gli islamici, o pensiamo solo a come vengono etichettati gli “zingari”. Ma allo stesso modo violente sono quelle “battaglie” a tutti i costi antagoniste, e che cioè usano lo stesso metodo contro i preti, le suore incinta e le forze dell’ordine. Del tipo: sono tutti fascisti e pedofili, ladri, zoccole e assassini, e noi altri invece atei e anarchici, liberali, laici. Progressisti.
Facebook, la più bella invenzione mediatica di tutti i tempi
Essere di parte nelle discussioni, anche mediatiche, non solo è onesto intellettualmente, ma è funzionale a ogni confronto intelligente, mentre avere una posizione cieca e ottusa, da clan o da tifoso, per di più dove il mittente di certe missive è il fake di un personaggio mediatico, in uno spazio senza confini e senza tempo, dove l’altro può essere annientato solo come obiettivo ideologico nella sua identità, oltraggiato e pubblicamente ingiuriato, diventa oltremodo performante della violenza e del branco, per come poi si manifesterà purtroppo anche nel mondo reale. Anzi, con una efficacia e crudeltà che non di rado saranno esponenziali. Vittime e carnefici, insomma, trovano su internet la loro causa precipitante. Lungi dal voler assumere messaggi allarmistici e/o ugualmente distorsivi, anche solo sul piano di una comunicazione faziosa e/o intellettualmente dogmatica, a fronte di tali pericoli descritti dobbiamo onestamente ammettere che Facebook è una delle più belle invenzioni mediatiche di tutti i tempi, proprio perché è un campo di relazioni, e un generatore ardente e vitale del mutamento sociale. E ciò naturalmente a prescindere che il mutamento sia positivo o negativo. Questo dipende da noi (e non sembri qualunquistico!), perché, per chi crede nelle trasformazioni spontanee e/o situazionali/relazionali, un non-luogo come questo, senza pareti né pavimento, è un buon “luogo” alla fine dove partecipare e orizzontalizzare ogni confronto, cioè senza troppe strutture comunicazionali formali forzate. E tuttavia in questo non-luogo più facilmente e meglio funzionano gli “orientamenti”, le caratterizzazioni più forti, gli atteggiamenti più oppositivi.
Desiderabilità sociale
Ora, se partiamo dal presupposto che spesso i soggetti hanno la necessità di sperimentare una loro “desiderabilità sociale” con lo scopo, anzi proprio con il “bisogno” psicologico, di mettersi sempre in buona luce rispetto agli altri, e se nella vita quotidiana di tutti noi questo esercizio risulta davvero molto difficile e con non pochi conseguenziali ridimensionamenti della propria personalità e relative frustrazioni, sul web invece, attraverso quel nostro profilo del tutto verosimile, eppure finto, di come vorremmo essere, spesso usato come la maschera di una corrispondente inabilità o disagio, riusciamo meglio a imporre il nostro stile, che dovrà essere perciò auspicabilmente “vincente” (ma anche fanaticamente perdente!).C’è quindi dietro la costruzione/modificazione intermittente del nostro profilo quella lentezza ideativa che dimostriamo nella realtà, spesso coperta da ossessioni, e ciò per trovare a tutti i costi un modo migliore per dire se stessi, con più effetto. Comodo, immediato, avanzato quello “oppositivo”. Se mi esprimo come oppositivo avrò di certo più follower e attenzione che se invece seguo una modalità conciliativa e ragionativa, perché polarizzo. È in questo modo che facebook facilita modalità comportamentali compulsive-reattive. Se poi ci aggiungiamo quelle problematiche individuali di cui all’inizio, relative alla valutazione del concetto di “sé”, e agli intimi bisogni di riuscita, di esibizione, di deferenza, di dominanza, capiamo bene che gli atteggiamenti verso se stessi, e verso gli altri, su un piano ideografico, cioè sul piano dei simboli usati in un ambiente simbolico com’è quello virtuale, e insieme gli stili emotivi e i vissuti, più o meno drammatici di tutti, questi polarizzatori contribuiranno a rendere questo “altrove” un universo di dinamiche sempre più complesse e che sarà sempre più difficile distinguere o anche solo decodificare.
Il suggerimento
Il suggerimento è perciò di non trascurare gli aspetti fenomenologici di internet, e come attraverso internet l’individuo percepisce se stesso e il mondo che lo circonda, gli elementi socio-psicologici e spazio-temporali che lo influenzano e lo determinano ad agire nella sua vita relazionale reale, per concentrarsi con più attenzione proprio sui caratteri dell’introversione e della disposizione “reazionaria” di Teofrasto (opposizione per principio a ogni forma di rinnovamento, politico, sociale e di impegno civile), pena la perdita di significato sostanziale di principi condivisi e loro trasformazione in parole vuote, slogan, luoghi comuni.
Chiara Merlo