Nulla è più lacerante dell’indizio di un naufragio: il dolce legno scomparso che fu morso dalle onde e sdegnato dalla morte.
(Pablo Neruda)Ci ho messo un po’ prima di scrivere questo articolo, un bel po’, mi sentivo da un lato troppo coinvolta (arrabbiata), dall’altro radicalmente affranta (come apatica, inerme, impietrita), un conflitto interiore assurdo (a ben vedere tipico calabrese: indolente, bronzeo; o forse tipico italiano, ormai), eppure, insieme alla rabbia, e a questa tristezza paralizzante, impotente, intuivo quegli innumerevoli indizi che ancora non avevano trovato in me la precisa figura geometrica della visione dei fatti, che pure cercavano una svolta intuitiva.
E così ho pensato a Pitagora e al suo Teorema (Crotone, Pitagora, il matematico eretico della mia Magna Grecia fallita…devo soltanto mettere i lati di questa vicenda sotto la radice quadrata del Teorema, e trovare l’ipotenusa di un ragionamento).
Non capivo perché un naufragio a riva.
Mi scervellavo e non capivo, nonostante le ufficiali spiegazioni.
Gli immigrati morti a Steccato di Cutro erano già arrivati dall’altra parte del loro mondo, e non c’era stato, credo, nessun dio a volerli inabissare perché impavidi, spavaldi, ai confini dell’aldilà. E invece, per qualche commento crudele, che paradossalmente si è fatto forte nell’opinione pubblica, è dovuto sembrare fossero morti addirittura per negligenza e imperizia (colpa!), neanche per orgoglio e pienezza di sé come Ulisse, ma per non aver considerato, banalmente, il mare e le sue insidie.
Da taxi a zattera è un attimo. La colpa è della vittima, è sempre colpa della vittima se, come si dice? “Te la sei andata a cercare”. Se sei donna e te la sei andata a cercare, se sei disoccupato e te la sei andata a cercare, e se sei migrante, e te la sei andata a cercare. La vulnerabilità non può certo sfidare il suo carnefice. I migranti che sfidano il mare…è inaccettabile.
Nel supporto che do allo studio ad alcuni allievi è stato un caso che abbiamo dovuto analizzare quella parte della Divina Commedia di Dante dove Dante incontra Ulisse fra le fiamme dei dannati, lui la fiamma più alta per essere naufragato al cospetto di Dio, per aver osato oltrepassare il mondo terreno (le colonne d’Ercole) per una volontà di conoscenza inaudita non concessa e perciò blasfema. E così, tra me e me, ho cominciato a rimuginare e ho fatto presto un salto logico, filosofico…e il mio volo pindarico ha prodotto l’involontaria oscenità: “questi” considerano Dante di destra…e quindi, per questo ce l’hanno con i naufraghi!?
Ho fatto uno di quei collegamenti stupidi, “fessi”, a vicolo cieco, che di solito suggerisce il linguaggio mediatico del mio contesto sociale a cui tento ormai invano di “resistere”, quel mio contesto ambientale così tanto impoverito dai titoli di Libero. Ma di destra vuol dire: guelfi bianchi contro gli immigrati? Che sintesi demenziale.
Il tema della morte di Ulisse in mare però, a mente più lucida, benché imbarbarita dallo schema reazionario qualunquista a cui, purtroppo, inutilmente come ho detto, tento di resistere, mi ha spinto a pensare più a fondo, anzi, proprio a scervellarmi sul tema stesso dei naufragi, ha innescato in me addirittura l’esigenza di una esegesi, di una ermeneutica delle frasi di Piantedosi, il nostro colto e lungimirante Ministro della Sicurezza.
Perché lui non si sarebbe messo in mare, da coscienzioso (come ha detto? Da “responsabile”…), in un mare agitato da naufragio, mi chiedevo, neanche spinto dalla paura a restare sulla terra ferma dove magari uno si trova? Perché, se dio volesse la sua morte, lui l’accetterebbe e non lo sfiderebbe, e perciò non sfiderebbe le forze della natura?
Perché pensa convinto di non essere più grande di quello che è.
Eppure pronuncia frasi arroganti, sfrontate, presuntuose, nei confronti di chi soffre e ha perso figli, fratelli, padri. E proprio alle madri dice, non certo velatamente, di essere state sconsiderate ad aver portato i loro cari figli alla morte certa.
Piantedosi è umile, misurato, non mostra nessuna “fiamma” eccessiva della conoscenza contro Dio, ma la sua tracotanza la rigenera abnorme e sprezzante verso i più deboli e afflitti.
Piantedosi non è Ulisse, non sfida il mare, non sfiderebbe mai il mare, e oggi neanche le alluvioni, eppure senza coraggio sfida Dio! Dante (anche se di destra) lo avrebbe messo fra i dannati, ma non certo a fianco del coraggioso Ulisse…
Come può Piantedosi sapere perché una mamma porta suo figlio in un mare pericoloso, agitato, su un barcone sgangherato, a rischio della morte, pur di salvarlo dalla morte? Ce lo siamo chiesto tutti. Giornalisti, politici, gente comune. I pescatori di Cutro “…che lo avessimo saputo, che non andava nessuno a salvarli, ci saremmo andati noi!” Perché la sua parte politica gli suggerisce questa “soluzione” mediatica al problema “Interno” del naufragio appena avvenuto? E perché ci vogliono dire: “non è stata colpa nostra, sono stati gli scafisti?”. Li inseguiremo su tutto il globo terraqueo…
Per le alluvioni di oggi di chi è la colpa, degli alluvionati? Dei meteorologi, o di chi imbratta i monumenti con la salsa di pomodoro? Che reato si inventeranno?
Se non fosse che di seguito c’è stato appunto l’inasprimento delle pene agli scafisti per decreto, e, per decreto (lo scrivo piccolo apposta), il decreto Cutro (perché avete messo quel nome così generoso come la sua gente a un decreto così aspro e irritante come chi pronuncia certe frasi?!) non verrà considerata più allo stesso modo la “protezione speciale” di chi arriva esausto a terra, dopo essere fuggito da torture e guerre, e verrà invece considerata l’abolizione del permesso a restare per via della protezione speciale negata, con una stretta durissima (crudele) su cure mediche e altre tutele per chi arriva non italiano in Italia.
Ormai, dopo Conte, decidono tutto per decreto, tutto in emergenza, tutto per la Sicurezza, decide tutto il governo senza mai interpellare il Parlamento (del resto che ce ne facciamo? Del Parlamento dico, solo a pagare i parlamentari…abbiamo mai seguito progettualità e processi di riforma per togliere da ogni emergenza, anche dalla emergenza migranti, le nostre comunità sul territorio?). Non è un caso si proponga come unica riforma possibile il premierato e il presidenzialismo, e…ah! L’autonomia differenziata! (Il teorema). Ma sto mettendo troppa carne al fuoco!
Partendo da Cutro, vorrei certo anche parlare di ambiente, di mare, del mare della mia Calabria, di Cemento, di abusi e lottizzazioni, di parcellizzazioni, orticelli, del bene comune, di economia occulta, della liquidità mafiosa e dei corrotti, dei colletti bianchi della sanità (che non ancora scontata la pena ritornano in politica a reindossare le camice a fiori…) e di lavoro nero, di come vengono assunti in nero, e a costo zero, i migranti sui nostri terreni di coltivazione made in italy perché Clandestini.
Ma vorrei parlare anche di chi vuole laurearsi e paga e pagherà cara questa ambizione alla competenza, della nuova questione meridionale, della siccità e delle conseguenti inondazioni al Nord, dei morti dell’Emilia Romagna…perché per me è tutto collegato, e come posso riuscire a dimostrarvelo?
Quel decreto “Cutro” restituisce al “numero oscuro” esattamente le vittime, gli immigrati “non protetti”, cioè quelli che alla fine non sono naufragati! Le vittime non le vogliono vedere, e perciò non le “riconoscono” giuridicamente, anzi le disconoscono per decreto. E saranno vittimizzate nuovamente (spero non sia questo lo scopo). Presto dimenticheremo allo stesso modo anche i morti di questo disastro politico ambientale dell’alluvione in Emilia Romagna, per le scelte politiche ambientali su cui caparbi stiamo insistendo anche con il nostro stile di vita, le nostre abitudini. Un disastro che ha colpito Forlì, Cesena, Ravenna, le Marche, ma soltanto qualche mese fa anche Ischia, e di nuovo la Calabria, la Liguria.
Stiamo naufragando noi! Ma almeno per noi Piantedosi direbbe certo che non è colpa nostra, siamo pur sempre italiani, ma di chi c’è stato prima. Se il meccanismo sarà ancora sempre quello di cancellare le vittime o di renderle del tutto, o in parte, “invisibili”, senza voce, senza nome, quel meccanismo mediatico presto fagociterà tutti noi, tutti quelli che non contano. Almeno fino alle prossime elezioni.
Intanto quel decreto Cutro, convertito il 5 maggio dalle Camere nella legge numero 50, procura «profonda preoccupazione» nell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, per le diverse «criticità» di alcune disposizioni rispetto alla compatibilità con «la normativa internazionale sui rifugiati e sui diritti umani», in merito «alla fattibilità delle misure previste», con un evidente «impatto sul sistema d’asilo» e sullo «spazio di protezione garantito ai richiedenti asilo, rifugiati e persone apolidi». Una «nota tecnica» di 9 pagine inviata dall’Acnur al governo. Il documento, che Avvenire anticipa in esclusiva, contiene una decina fra raccomandazioni e osservazioni in merito. Insomma, non è opinione delle sinistre!
Sono andata a Cutro, non c’era più nessuno, eravamo io, un amico in silenzio, atterriti, faceva un freddo e c’era un vento…e poi c’era il suo bambino, che continuava a dire “dobbiamo pregare, ci sono le croci”, il mare era sempre cupo e agitato, e poi sì, c’erano quelle piccole croci fatte con i legnetti senza nome, gli immigrati non portano mai il loro nome qui da noi, e infine piccoli giocattoli sfigurati dalla salsedine in accumulo, come spazzatura qualsiasi trascinata lì dalla corrente. Plastica che resta, come la plastica che affoga tutto ormai. Erano arrivati lì, a riva, e sono morti. Per colpa loro!
di Chiara Merlo
(le foto sono tutte scattate da cellulare da me su quella costa che va da Capocolonna, dove c’è l’ultima colonna greca in piedi della mia Calabria, fino a Steccato di Cutro).