Che cosa vana la pittura, che attira l’ammirazione per somiglianza di cose di cui non si ammirano affatto gli originali.
(Blaise Pascal)Tracce della pittura di Sebastiano Conca nell’anonima tela di fine ‘700 collocata nella chiesa calabrese di Santa Marie delle Grazie.
Niente di più dell’arte barocca si avvicina a quella che può essere l’idea di una rappresentazione scenica teatrale, ne abbiamo diversi esempi in scultura e in pittura.
Nell’iconografia di tema biblico, l’Adorazione dei Magi, è quella che più si presta a questo tipo di impianto e, solo per citare un esempio, quella di Artemisia Gentileschi, dipinta durante il periodo napoletano, prima della sua partenza in Inghilterra, ne rappresenta uno dei modelli più considerevoli.
Napoli, che può vantare una lunga tradizione artistica riconosciuta in campo europeo, è stata capace di influenzare la pittura religiosa dell’Italia meridionale anche sull’onda di quella corrente del caravaggismo fatta di forti contrasti tra luce e ombra tali da rendere più evidente le caratteristiche di teatralità dei soggetti dipinti.
Ancora nel ‘700, a Napoli, resistono gli effetti scenografici e i forti contrasti di colore, ormai in contrapposizione con una pittura più lineare che guardava all’arte classica anche sotto l’influenza delle recenti scoperte di Ercolano (1738) e Pompei (1748).
Tracce evidenti dei riflessi dell’arte pittorica di derivazione partenopea si riscontrano nel modesto patrimonio artistico delle chiese di San Giovanni in Fiore, descritto, dal punto di vista architettonico e pittorico, in un testo del 2014 di Giovanni Greco dal titolo Patrimonio artistico di San Giovanni in Fiore. Storia e descrizione, edito da Pubblisfera.
Più che l’indagine iconologica, volta a spiegare il significato culturale di elementi contenuti in un’opera d’arte, interessa rintracciare elementi di contatto tra due realtà, in un momento in cui la Calabria assumeva centralità all’interno del Regno Borbonico.
Nella navata destra della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, il secondo edificio di culto realizzato dopo la ben più nota Abbazia Florense, sul semplice altare in marmo dove riposa la mistica Isabella Pizzi, è collocata una pala lignea di datazione incerta (con molta probabilità 1783), dove si ripropone il tema dell’Adorazione dei Magi di autore ignoto, di difficile attribuzione.
È questo il momento in cui le famiglie più importanti della città florense commissionavano opere a tema religioso che sarebbero andate a costituire il patrimonio artistico delle chiese cittadine.
Sul lato destro della pala c’è Maria con in braccio il Bambino seduto su un cuscino, Giuseppe è collocato dietro, in basso in una disposizione piramidale i Re Magi. La scena si colloca davanti a un tempio e mancano il bue e l’asinello. Emerge un elemento al quale finora nessuno sembra aver prestato attenzione: si tratta della somiglianza di questa pala con l’Adorazione dei Magi del napoletano Sebastiano Conca, un capolavoro risale verosimilmente al 1720, anche qui i personaggi sembrano muoversi come su un palcoscenico.
Conca si formò alla scuola di Francesco Solimena, una delle figure più importanti dello stile barocco del suo tempo.
In queste opere ritorna la lezione pittorica di Mattia Preti, il Cavaliere Calabrese interprete della pittura napoletana del ‘600.
La pala in Santa Maria delle Grazie e la tela del Conca, indipendentemente dallo stato di conservazione della prima- i colori sono ormai ricoperti da una patina che ne oscura la brillantezza- si presentano, principalmente per i personaggi e meno per l’ambientazione, come un’immagine simmetrica, siamo davanti ad una ambientazione notturna e gli abiti dei personaggi rispecchiano gli stessi colori e le stesse caratteristiche.
Maria sorregge Gesù con entrambe le mani, mentre lo poggia su un cuscino e il suo corpo è proteso in avanti mentre presenta il Messia che con la mano sembra benedire.
I magi con il loro seguito, in entrambe le composizioni, sembrano incarnare i personaggi di una sacra rappresentazione, le vesti di tessuti e broccati pregiati sono ricche, non manca il collo di ermellino indossato da Melchiorre che porta anche una collana di rubini.
Alle sue spalle Gaspare indossa una corona d’oro e insieme al giovane re nero Baldassarre attende di poter consegnare i loro doni al Bambino.
È chiaro che l’anonimo pittore della tela sangiovannese è entrato in contatto con il dipinto del Conca, sicuramente visto in qualche bottega napoletana.
Per avallare questa ipotesi ricordiamo che Conca, presso l’accademia di pittura del Solimena, chiamato l’abate Ciccio per il suo impegno clericale di terziario domenicano, era sicuramente in contatto con gli ambienti e le commissioni in ambito ecclesiastico.
di Maria Concetta Loria