Alice Ripoll, Acordo e Zona Franca

foto di scena di Piero Tauro foto di scena di Piero Tauro

Chiamiamo corpo quella parte dell'anima che si distingue per i suoi cinque sensi

(William Blake)

Qualsiasi parola non rende l’idea.

Di quello che può succedere a un corpo e attraverso un corpo, dai capelli alla pelle fin dentro le interiora. Corpi diversi che diventano un organismo solo, ammassi indistinti dove gli arti, le teste, i piedi, le mani sembrano resti buttati via come rifiuti o pezzi, forse attrezzi, dai quali ripescare per costituire un intero.

Corpi che si accomodano l’uno sull’altro cercando e trovando equilibri improbabili, neutralizzando cavità e protuberanze in un disordine sempre più plastico che crea e ricrea figure poliformi.

Agglomerati dai quali si staccano scampoli organici che poi si scoprono interi, figure erette che danno inizio a una danza tribale scandita dal battito dei piedi, sempre più insistente e frenetico, sostenuto dal rumore forte dei respiri e da versi primordiali che segnano il tempo. Per poi riaccasciarsi a terra, sfiniti, a ricostituire con la confusione dei corpi un’interezza.

È la prima parte di aCORdo, coreografia di Alice Ripoll presentata a Villa Medici per Romaeuropa Festival, un lavoro con quattro danzatori provenienti dalle favelas di Rio de Janeiro e ora parte della compagnia REC fondata dalla coreografa brasiliana e, stando alle note sul  programma di sala, riproduce “azioni della loro vita quotidiana, gesti spesso invisibili, frutto di disuguaglianze sociali e territoriali”.

Disuguaglianze che spiegherebbero la seconda parte, nella quale i quattro coinvolgono il pubblico in un gioco di simulazione di furti e di scambi di oggetti, indumenti, borse, accessori che alla fine i proprietari legittimi andranno a riprendersi, non senza imbarazzo, direttamente dai loro corpi immobili, mani in alto e spalle al muro.

Ma a parte la spiegazione socioculturale che ha visto questa coreografia nascere subito dopo i Giochi Olimpici e i Mondiali di Calcio a Rio, in cui il contrasto socioeconomico sarà saltato agli occhi e ai nervi dei disperati con più sofferenza e più forza, quello che colpisce è proprio l’investimento sul corpo del danzatore performer come unica e possibile risorsa di narrazione.

Scritta su quei quattro infallibili corpi che diventano uno, due, tre e poi ritornano quattro e poi ci provano a relazionarsi con noi, chiedendo di essere accolti, adagiati sul nostro grembo, per una manciata di benedetti secondi.

foto di scena di Piero Tauro

Corpi ai quali Ripoll attinge come a un pozzo senza fondo nel suo secondo lavoro, Zona Franca, presentato all’Auditorium Parco della Musica in due sole repliche, dove pare davvero di vedere le interiora danzare, scalpitare, gridare, acconsentire a una messa alla prova oltre i limiti umani per vincere qualsiasi sfida.

Difficile dirne il giusto, ma è certo che quello spazio di libertà suggerito dal titolo, in cui può succedere qualsiasi cosa, in cui ci si può concedere qualunque licenza, è la conquista di un forsennato lavoro.

La libertà non vi è data, prendetevela casomai, se ne siete capaci.     

E allora ecco che prima ci ingannano con un quasi far niente mentre ci accomodiamo in sala, noi in cerca dei posti, loro a ridere e danzare come capita capita a un ritmo di percussioni che pare improvvisato, insomma uno spaccato di ordinario divertimento, un gioco di strada, alla meglio un ripasso di prove, e poi, poi arriva il resto.

La furia, la grazia, la seduzione, la provocazione, i miti moderni come il calcio e le false idolatrie del corpo (femminile) esposto alla corsa degli smartphone.

Tutto raccontato attraverso la perfezione di fisici statuari o l’imperfezione sbeffeggiata del sovrappeso, la resistenza oltre misura e la fatica mascherata dietro un sorriso a trentadue denti come se tutto fosse facile facile, persino una danza di glutei come non si era mai vista, assoli dove la testa pare andarsene altrove, disarticolata dalle spalle, sensualissime rachidi con vertebre a vista, interiora.

Sembra si muovano ritmicamente anche quelle, assecondando le repentine variazioni di tempo, da velocissimo a lento, fino a fissare in fermi immagini figure e posizioni rituali.

Quando la musica cessa i corpi rallentano come a cercare nella lentezza la memoria del suono. Quando lo sforzo è allo stremo si continua a danzare lo stremo delle forze. Dal soffitto tanti palloncini attendono di essere fatti scoppiare segnando a ogni esplosione una virata improvvisa, un segmento particolare di coreografia, un proprio spazio di libertà. 

di Alessandra Bernocco

aCOrdo/Regia: Alice Ripoll/Performer: Alan Ferreira, Hiltinho Fantástico, Romulo Galvão, Tony Hewerton/Assistente: Anita Tandeta

Zona Franca/Coreografia: Alice Ripoll/Performer: Gabriel Tiobil, GB Dancarino Brabo, Hiltinho Fanta?stico, Katiany Correia, Maylla Eassy, Petersonsidy, Romulo Galvao, Tamires Costa, Thamires Candida, VN Dancarino Brabo/Assistenti alla regia: Alan Ferreira e Thais Peixoto/Disegno luci: Tomas Ribas e Diana Joels/Tecnico luci: Taina Miranda/Scenografia e costumi: Raphael Elias/Assistente costumista e sarta: Gabriel Alves/Soundtrack: Alice Ripoll e Alan Ferreira/Tecnico luci e prove: Renato Linhares, Alan Ferreira/Illustrazione e Designer: Caick Carvalho

foto di scena di Piero Tauro