Una culla sbagliata

Scrivi finché il tuo inchiostro non si sarà asciugato, e con le tue lacrime/Inumidiscilo di nuovo e traccia una linea di sentimento/Che può scoprire tale integrità.

(William Shakespeare)

Ho da poco assistito a un piccolo evento che ancora una volta testimonia del potere salvifico della scrittura. Del suo essere luogo di libertà e di riscatto, in cui tutto è possibile, tutto è lecito, e i mostri arretrano perché il tuo sguardo fattosi lucido incute loro paura.

Si tratta di Una culla sbagliata, presentato al Teatro Altrove di Roma dal 10 al 12 gennaio 2025.

Tratto dal bestseller autobiografico di Jeanette Winterson, Perché essere felice quando puoi essere normale? vede in scena Ottavia Bianchi, anche curatrice dell’adattamento e coregista insieme a Giorgio Latini. Il ruolo della scrittrice invece  è di Loredana Piedimonte, attrice di cui amo la sensibilità e la grazia, la disposizione a lasciarsi escoriare restando integra e illesa, per ripartire.

Come Jeanette, che torna nella casa materna dopo la morte di quella che è stata la sua madre adottiva e che di materno non ha avuto mai nulla.

Una casa che trasuda brutti ricordi e innesca emozioni violente, che tornano a farsi sentire nonostante i balsami della scrittura.

In quella casa si riaffaccia il fantasma di una madre molto più che bigotta, fanatica, ipocrita e persecutoria, che non conosce la felicità e condanna chi la persegue. Il perdono si paga con il sacrificio e se una donna vuole essere altro da “operaia, moglie o missionaria” non c’è sacrificio che la riscatti. Invece Jeanette ama i libri, la letteratura, la poesia, Jeanette legge Shakespeare e trova consolazione nel Racconto d’Inverno. La coscienza che “un mondo malato non può essere curato se ciò che è perduto non sarà ritrovato”.

E forse per questo tornerà in quella casa dove ha lasciato la pelle fino a non farcela più. Dove ha vissuto un’infanzia immeritata e infelice, lei, figlia malcapitata di una donna che desiderava il maschio. Viene fuori anche questo nel travaso di sentimenti e risentimenti che trovano sfogo tra quelle mura. Eppure lei vi ritorna, e sarà per capire, chissà, se quella madre che ormai non è più, può essere amata e perdonata almeno nella perdita.

Ma ce la farà a capirlo da sola?

Jeanette non rilascia interviste, è incapace di accogliere, non permette a nessuno di penetrare la sua anima stanca, protetta com’è da una corazza di ferro. A meno che non la si vada a cercare nelle parole. Perché è lì, soltanto, che la sua anima ha casa. Lì la sofferenza trova riparo e la rudezza si scioglie non proprio in dolcezza ma in una possibile disposizione all’ascolto.

La giornalista che aveva fatto irruzione per intervistarla non era lì per mestiere, per rimediare un articolo o per fare uno scoop: era lì per amore, perché aveva letto e amato tutti i suoi libri. Sapeva in quali pieghe ficcarsi e quali corde far risuonare. Un poco alla volta. Cedendo lei stessa alle interrogazioni incalzanti che  la scrittrice le ha inflitto, prima di lasciarsi sondare.

E allora sia, “torna domani”. L’incontro sarà tra due anime e due cervelli che si capiscono, salvifico come lo sono scrittura e lettura.

Loredana Piedimonte è perfetta in questo ruolo di confine tra accondiscendenza e asprezza, e Ottavia Bianchi, che riveste il doppio ruolo di madre e giornalista, gestisce molto bene il passaggio repentino dall’una all’altra, complice solo un rumore e un provvidenziale cambio di luci.

Viene da fare una considerazione riguardo alla produzione, che non contempla costumisti e scenografi. Mancano le risorse, lo sappiamo, ma un pensiero più profondo e preciso nel merito avrebbe aiutato. La desolazione riprodotta a teatro non funziona: funziona raccontarla e forse costa un po’.

Resta comunque un lavoro onesto e riuscito, a cui auguriamo un futuro.

di Alessandra Bernocco