Corpi. Agglomerati di corpi dai quali si staccano scampoli organici che poi si scoprono interi, figure erette che danno inizio a una danza tribale scandita dal battito dei piedi, sempre più insistente e frenetico, sostenuto dal rumore forte dei respiri e da versi primordiali che segnano il tempo. Per poi riaccasciarsi a terra, sfiniti, a ricostituire con la confusione dei corpi un’interezza.

Il Bardo ne ha viste di tutti i colori e di tutti i colori ne ha sopportate, nascosto dietro riscritture che se la cavano con un liberamente tratto da o liberamente ispirato a. Liberamente, molto liberamente, licenziosamente.
Perché Shakespeare non è soltanto il gigante di cui fregiarsi almeno una volta nella carriera ma è soprattutto un banco di prova a cui non ci si vuole sottrarre.
Ma ben venga chi si industria a raccogliere le sfide, cercando di fare di necessità virtù.
Questa volta la sfida l’ha raccolta un giovane regista, Luigi Siracusa…

Già soltanto il titolo. Femminaccie impudentissime. Chi può non sentirsi attratto da un simile titolo su una copertina che riproduce la caricatura di una femmina agghindata fine ottocento che impugna una pistola? Bel contrappasso nei confronti di colui che senza ombra di ironia apostrofò così le infermiere volontarie che prestavano soccorso ai soldati feriti durante i due eroici anni della Repubblica Romana.
Colui è Giuseppe Boero, gesuita, bontà sua, e il libro in questione è il risultato di una meticolosa e certosina ricerca condotta da Cinzia Dal Maso, giornalista e scrittrice, membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Internazionale di Studi Giuseppe Garibaldi.

Presentato al Teatro San Ferdinando per la stagione del Teatro Nazionale di Napoli, Cinemamuto  vive anche di frammenti di film autografi forniti dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e di una colonna sonora composta ad hoc da Giovanna Famulari che alterna brani classici a invasioni contemporanee di musica elettronica, citando volontariamente questo tempo presente. Il risultato è  un lavoro collettivo che ha il merito di far conoscere una figura di donna e di artista pressoché dimenticata dalla storia del cinema e di portare e riportare all’attenzione del pubblico argomenti che oggi suonano come un’allerta.

Arriva il teatro, arriva la giostra. Quando uno spettacolo di Giancarlo Sepe sta per andare in scena nel suo magico spazio, in quel sottosuolo in costante fermento che è il Teatro La Comunità, nel cuore di Trastevere, mi sale la stessa eccitazione di quando da bambina aspettavo le giostre per il Santo Patrono.
Non so come sarà il nuovo spettacolo, ma so che l’incantamento è assicurato. Non sono mai stata smentita. Lo stand by dalla vita quotidiana è totale e lo è in modo diverso da come accade  o dovrebbe accadere sempre in teatro.

La casa nova, commedia della maturità composta in dialetto veneziano, è riproposta fino a domenica 24 marzo 2024 al Teatro India di Roma nell’adattamento e traduzione di Paolo Malaguti e la regia di Piero Maccarinelli che ha brillantemente diretto una compagnia di giovani attori diplomati all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico, scortati da un generoso Stefano Santospago, che sembra uscito dritto dritto dai Rusteghi.

Questo testo che fa incontrare due donne che per destino sono madre e figlia, pone allo spettatore una quantità di domande.  La possibilità del perdono se non c’è pentimento. La natura della natura umana: ci sono i buoni e ci sono i cattivi e chi sono i cattivi se non i caduti che non si rialzano nemmeno di fronte a una figlia che tende loro la mano? È possibile la pietas di fronte all’ostinazione  del male o è meglio scappare e cercare per sé un’orbita franca attorno cui gravitare? 

Si può essere modernissimi e filologici a un tempo. Soprattutto se si affronta un classico. Un esempio arriva dal recente allestimento di Riccardo III diretto da Luca Ariano presso il City Lab 971 di Roma, uno spazio già di per sé generato da un pensiero moderno mirato alla riqualificazione di un edificio industriale abbandonato da anni, l’ex Cartiera di via Salaria, ora polo multiculturale aperto al pubblico.
Lì è nato questo spettacolo, da un progetto di Ariano e Pietro Faiella (nel ruolo di Riccardo), prodotto da Officina Teatrale di Massimo Venturiello, altro centro virtuoso di creazione e produzione che gestisce gli spazi di Officina Pasolini.