Alla base di ogni interrogativo possibile c’è la questione del perché soprattutto le donne vengano colpevolizzate per la loro libertà sessuale, apparentemente auspicata, anche dagli uomini, e invece sempre più spesso mortificata, abusata in rapporti violenti di prevaricazione.

Consapevoli che il mutamento sociale abbia come sua componente lo spontaneo aggregarsi, integrarsi di emozioni/umori (oppure deliri), pensieri/ideali collettivi, a chi osserva i cambiamenti, nell’analisi dei fenomeni culturali e sociali del nostro tempo, risalta che il non-luogo dei social network alimenta, spesso, atteggiamenti antisociali/depressivi che nella vita reale già sono, o purtroppo diventano, (gravemente?) patologici.

“D’estate, al sud, capita che il fuoco distrugga tutto, alberi e animali. Capita! Noi del sud però sappiamo che ogni incendio è per mano dolosa, per mano meridionale dolosa.” Giordano Affolti ritorna il giorno dopo, quando tutto è spento, su quel cimitero di piante, dove gli animali non respirano più, e fotografa le sculture che sono diventate per noi a ricordo.
Photographer: Giordano Affolti

Il comportamento virtuale di ognuno alimenta, oppure no, la comunicazione violenta comune, stabilendo anche il significato che le diamo, e ciò oltre il profilo più o meno patologico soltanto di qualcuno. Dovremmo allora cominciare a capire che presto sarà davvero difficile distinguere la violenza collettiva dalla violenza individuale, dove i social network si attesteranno sempre di più come moltiplicatori di umori, frustrazioni e rabbia, invece che di stati d’animo ed emozioni positivi.

La verità è che, anche per chi non credesse in Dio, forse c’è un modo del tutto nuovo e narrativo per rimanere eternamente nell’al di qua. O forse c’è sempre stato, soltanto che adesso ha semplicemente cambiato il suo supporto. Non più lapidi ed epitaffi, scritti e libri, ma stati d’animo (post)mediatici e bacheche (diari personali) sempre più dinamiche dove incontrarsi anche dopo morti.

È liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile (favole napoletane del ‘600) questo testo teatrale di Emma Dante, diretto dalla stessa in maniera magistrale. Questa scrittura e questa messa in scena mi fanno pensare che il Teatro sia puro Amore (finalmente), e consolidano Emma Dante, per me, migliore regista donna, italiana, siciliana, del mio tempo e di ogni politica, non ho alcun dubbio.

Il mondo vuole cambiare, sempre, continuamente, e più spesso il cambiamento lo chiede alle donne, che si fanno carico del messaggio e si tagliano i capelli. Cassandra cambia il vestito. Dal nero luttuoso e goffo, che impedisce il cammino, al rosso paiettato dell’emancipazione, della ribellione, della manifestazione del conflitto, e poi il blu del pensiero, della libertà e della sofferenza, quindi il verde della pacificazione con la natura, l’indole, l’anima, la linfa, il sangue vivo degli alberi, infine il bianco della comprensione e della consapevolezza, insieme cinque temi attuali: la memoria, la vita, la libertà, la transizione e la pace. E questa donna mentre racconta quello che le è successo, e quello che non vuole più succeda, si spoglia e si veste di sé, saggiamente, inesorabilmente, con altruismo.

Anche questa di Macbeth è la tragedia della “scelta”, che è alla base di ogni trasformazione individuale/sociale, che in Shakespeare è la tragedia dell’umanesimo, in quel conflitto intimo e collettivo che vorrebbe superare ogni prospettiva socio-politica verticale, credendo invece superiore, vincente (almeno nel lungo periodo) la capacità “umana” di autodeterminarsi ed essere artefici della propria sorte, e insieme di quella degli altri. Pur considerando in qualche modo ancora aderente quella idea tutta Machiavellica di governare, secondo cui anche la fortuna, il destino, possono essere utili all’uso: e perciò nell’ordine dei fatti si può essere leone e volpe, forza e astuzia, ciò a seconda delle vicende e delle circostanze.

Con questo progetto ad immagini, con i ritratti attenti delle persone che ci camminano affianco, e che ci raccontano con uno sguardo la loro vita felice, o infelice, Giordano Affolti ha voluto restituire a queste persone la loro scelta, il loro percorso, quella indelebile strada già fatta, e che, per cause più grandi di noi, a un certo punto ci è stata interrotta, e in qualche modo resa vuota.

Il regista ha immaginato un’attrice abbandonata, ormai da troppo tempo alle sorti del suo palcoscenico, il vestito è di famose tragedie romantiche, scucito e consunto, tenta di sedurre il suo pubblico come fa un venditore, esprimendo assai spesso inchini e gesti di ringraziamento. Di fronte a lei un avventore, mal vestito, cinico e diffidente, un potenziale cliente, uno spettatore, un casuale, occasionale passante, dall’aspetto un po’ rozzo, ma dal sentire molto contemporaneo e struggente. Un irriducibile viandante solitario del nostro tempo. Un camminatore che vuole camminare lontano dalle folle consumistiche.