Il regista ha immaginato un’attrice abbandonata, ormai da troppo tempo alle sorti del suo palcoscenico, il vestito è di famose tragedie romantiche, scucito e consunto, tenta di sedurre il suo pubblico come fa un venditore, esprimendo assai spesso inchini e gesti di ringraziamento. Di fronte a lei un avventore, mal vestito, cinico e diffidente, un potenziale cliente, uno spettatore, un casuale, occasionale passante, dall’aspetto un po’ rozzo, ma dal sentire molto contemporaneo e struggente. Un irriducibile viandante solitario del nostro tempo. Un camminatore che vuole camminare lontano dalle folle consumistiche.
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Lo spettacolo di Demian Aprea ha questa intenzione bella di recupero dell’immaginativo, e anche il testo è ben strutturato in questa direzione. L’interpretazione dimostra tutto l’amore verso Dalì e così il disgusto per la mediocrità. Un lavoro di sentimento e di gratitudine, evidentemente per il proprio percorso artistico rivolto, che è stato apprezzato proprio per questa sua evidente causa-azione.
«Mariarosà, se non so’ troppo indiscreto, ma che cazzo stai a fa’ tutto er giorno attaccata a quer coso? Ma non c’hai altro da fa’? Tanto s’è capito che nun te chiama nessuno»
Cristicchi ci accompagna in questo viaggio in Paradiso a modo suo, intrecciando parole e musica e alternando alla narrazione alcune delle sue canzoni più belle come Lo chiederemo agli alberi.
Schmitt gioca in modo sapiente con il lettore-spettatore e inventa una macchina umana perfetta a partire dalle illusioni più fragili di un essere umano, dalle sue debolezze, dalle durezze di copertura, da palliativi e anestetici farlocchi.
E la storia di quel tal Pippo Soffiavento che cercava di esorcizzare la paura provando a mettersi nei panni di Macbeth, re di Scozia, la devo rintracciare nella memoria recente. Proprio quella che manca quando rincoglionisci e ti perdi le tracce.
RACCONTI di Nicolai Io le scadenze dei prodotti non le leggo mai. Per questo, Susan si incazza sempre. […]
E siamo ormai a questo punto, ben dentro nella terza guerra mondiale! Sia o non sia termonucleare. Il nucleare è solo un supporto, è il pensiero del conflitto che è purtroppo avanzato (in risposta a quelli che dicono: “ci sono altre guerre, ci sono sempre state, soltanto adesso ve ne siete accorti?”), si è spostato al centro, è finalmente frontale, aperto, chiaro e netto, con i bersagli non più laterali e solo di avvertimento (nonostante il tragico e l’indifferente), ma nel cuore delle culture dominanti, a ristabilirne i confini ideologici (davvero pensavate che le ideologie fossero crollate?), anche se gli Europei in particolare non vogliono proprio accettarlo. Non vogliono vedere. Che struzzi! E invece si tratta proprio di loro, che lo accettino!
Un deposito sterrato, pareti scrostate, umidità, muffa, sedie rotte accatastate, una finestra da cui filtra una luce grigia, compatta, tre sedie in centro che proiettano la loro ombra sul muro, un paio di scarpe dimenticate in mezzo al cumulo di rottame.