Sono andata a Cutro, non c’era più nessuno, eravamo io, un amico in silenzio, atterriti, faceva un freddo e c’era un vento…e poi c’era il suo bambino, che continuava a dire “dobbiamo pregare, ci sono le croci”, il mare era sempre cupo e agitato, e poi sì, c’erano quelle piccole croci fatte con i legnetti senza nome, gli immigrati non portano mai il loro nome qui da noi, e infine piccoli giocattoli sfigurati dalla salsedine in accumulo, come spazzatura qualsiasi trascinata lì dalla corrente. Plastica che resta, come la plastica che affoga tutto ormai. Erano arrivati lì, a riva, e sono morti. Per colpa loro!
Categoria: CULTURA
Cultura
Mentre le migliori firme si cimentano in teorie che sfociano nel complottismo politico, una cosa ci appare ormai evidente: siamo alla fine della tv culturale. Attenzione: non quella di Rai storia e Rai 5, e meno male che esistono, no. Ma quella indirizzata al grande pubblico.
Un declino annunciato già con lo spostamento di Fazio dalla rete più generalista a quell’avamposto di resistenza culturale che è Rai3.
Madre è un gioiello teatrale di rara bellezza, destinato a rifulgere nella coscienza e nella memoria degli spettatori per lungo tempo. Basato sul poemetto scenico scritto da Marco Martinelli, si compone di due soliloqui pronunciati da due personaggi senza nome, Madre e Figlio, che incontrano troppe difficoltà comunicative a causa del solipsismo quasi autistico dell’omone di cui non conosciamo neanche l’età.
In fondo la felicità è una cosa così semplice che a volte può essere dimenticata in uno zainetto. Ma riconoscerla e poi regalarla a qualcuno, vi assicuro, fa volare.
La regia di Matteo Tarasco riesce a restituire l’intimità dei rapporti familiari, gli aspetti che Pasolini intellettuale e poeta non avrebbe mai lasciato trasparire. Le fragilità di un uomo rimasto incompreso e ai margini di una società incapace di comprenderne la grandezza.
Sogno di mangiare. La notte intendo, io sogno solamente di mangiare, di ingozzarmi di ogni tipo di cibo, ininterrottamente e in quantità abnormi. In questi sogni sono quasi sempre seduto a una tavola imbandita con ogni ben di Dio. Il posto non è sempre lo stesso anzi, cambia quasi sempre. Quello che non cambia è la situazione, il senso di fame crescente e il desiderio insopprimibile e violento di mangiare.
Emma Dante affonda il coltello nella parte infima dell’esistenza e lì cerca (o semplicemente, trova) una luce, un lumino rosso, un velo da sposa, una scatola colorata sotto l’albero di Natale, un carillon. Trova la vita e la fa vibrare, oltre il dolore e la morte.
I “fratelli der faina” esistono davvero. Tra di loro si chiamano “fraté” e comunicano urlando, come se il mondo intorno non avesse orecchie per sentire.
Eugenio Sideri nella storia ci entra soprattutto attraverso i racconti della Resistenza e dei partigiani, un lavoro di ricerca che si concretizza attraverso la scrittura drammaturgica e la regia di azioni teatrali capaci di creare nuove cognizioni. Sideri ha tramutato l’odio verso gli indifferenti nel mestiere di un moderno partigiano, perché si può essere partigiani in tanti modi e lui lo è attraverso la pratica del teatro. Un’arte che, riuscendo a sopravvivere alla travolgente digitalizzazione di ogni forma di comunicazione, di Resistenza se ne intende. Sideri è uno scrittore, drammaturgo e regista ravennate, tra i fondatori nel 2001 della compagnia teatrale Lady Godiva Teatro, ormai parte integrante del ben più ampio patrimonio culturale della stessa città di Ravenna.
Guardandomi intorno scopro cortometraggi di quotidianità che sfociano in dinamiche curiose o stravaganti. Perché certe attese sono barattoli di vetro nei quali la vita prende scorciatoie, ci mostra storie rapide e furtive, e ci fa percepire dialoghi appassionanti, che un osservatore attento riesce a cogliere attraverso il vetro prima che il tempo si esaurisca.