Il racconto di quel che succede lì dentro è affidato all’ancella che è memoria del prima e anticipazione del poi, passato e futuro improvvisamente azzerati da un qui e ora claustrofobico. Dove si è soli, irrimediabilmente isolati eppure spiati, controllati, eterodiretti. Dove ogni residuo di coscienza e volontà individuale è destinato a soccombere, normalizzato dalla legge e annullato nel potere degli uomini al comando, i Comandanti.
Categoria: CULTURA
Cultura
Prodotto dal Centro Teatrale Bresciano e da La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello, lo spettacolo si presenta compiutamente allestito: si vede chiaro lo studio, la lenta elaborazione, la presenza di una direttiva di pensiero coerente e quindi la ricerca di una chiave di lettura possibile per inoltrare lo spettatore nella sterminata materia raccontata, facendo in modo che arrivi diretta anche a chi non ha (ancora) letto il romanzo.
L’idea di Malamerica, come racconta la Costantino, nasce nel 2015 dalle suggestioni raccolte nel volume fotografico Trovare l’America. Storia illustrata degli italo americani nelle collezioni della Library of Congress, un testo del 2013 di Linda Berret Osborne. Ma non è sulle storie degli italiani divenuti famosi che la Costantino si vuole soffermare, da Fiorello La Guardia a Joe di Maggio ce n’erano tanti, quanto negli sguardi di quegli emigrati di cui nessuno ricorda più il nome e di cui non rimane nessuna memoria.
“Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller nella visione drammaturgica di Massimo Popolizio, regista e interprete di questa pièce.
A quasi un secolo di distanza, una trasposizione scenica del capolavoro di Miller nel tentativo espressionistico di restituirne nello specifico le abnormità.
Roma, 2023: con Ulysses 100 si festeggiano i cento anni dalla prima pubblicazione integrale del capolavoro di Joyce, avvenuta a Parigi nel 1922.
Una celebrazione in due fasi, corrispondenti ai due personaggi principali, Molly B. e Leopold, per ora presentati in due fine settimana dedicati, che hanno visto in campo Iaia Forte e Maurizio Panici.
Con Il soccombente siamo di fronte a un lungo e ininterrotto monologo assai difficile da immaginare sulla scena. Un testo privo di azioni da agire al presente, un flusso orizzontale che rischia (rischierebbe) di diventare una soporifera resa alle parole, restituibile con una o due note soltanto. Qualcosa che non sarebbe pensabile nemmeno al leggio.
Eppure è un testo che sfida i registi e solletica gli attori. E se qualche anno fa era toccato a Roberto Herlitzka diretto da Nadia Baldi, questa volta ad affrontare il primo atto della Trilogia sulle Arti è Federico Tiezzi e la voce narrante è quella di Sandro Lombardi.
Teatranti che le sfide le amano e spesso le vincono.
Alla base di ogni interrogativo possibile c’è la questione del perché soprattutto le donne vengano colpevolizzate per la loro libertà sessuale, apparentemente auspicata, anche dagli uomini, e invece sempre più spesso mortificata, abusata in rapporti violenti di prevaricazione.
A monte de Il crogiuolo ci sono due diverse condizioni dello spirito: l’ignoranza disarmante che ti consegna a superstizione e manipolazione e, di contro, la strumentalizzazione di questa stessa ignoranza da parte di una teocrazia che non cede le armi, anzi ne approfitta per riconquistare terreno.
Mio padre, che era comunista e che faceva l’operaio alla Ansaldo, sosteneva che babbo natale in realtà fosse un eroe della rivoluzione russa, una specie di ladro gentiluomo che rubava i giocattoli ai bambini ricchi per darli a tutti gli altri e, soprattutto, che non si chiamava Santa Claus ma Santa Claus Kinski.
L’idea è buona e i tre sono bravi, indubbiamente. Perché un conto è una canzoncina in rap, un conto è rappare una poesiola, un altro è reggere uno spettacolo intero…