Corpi. Agglomerati di corpi dai quali si staccano scampoli organici che poi si scoprono interi, figure erette che danno inizio a una danza tribale scandita dal battito dei piedi, sempre più insistente e frenetico, sostenuto dal rumore forte dei respiri e da versi primordiali che segnano il tempo. Per poi riaccasciarsi a terra, sfiniti, a ricostituire con la confusione dei corpi un’interezza.

Stefano Massini propone al Teatro Strehler di Milano uno spettacolo tratto dai discorsi e dalle conversazioni di Adolf Hitler, ma soprattutto dal Mein Kampf, opera, scritta in carcere nel 1924 dopo il fallito “putsch della birreria”, in cui il futuro Fuhrer e Cancelliere del Reich narra, nella prima parte, la sua autobiografia, mentre, nella seconda parte, espone il programma del movimento nazionalsocialista. Lo spettacolo è recitato dallo stesso Massini che, accompagnato dagli apporti sonori scelti da Andrea Baggio, si muove su una struttura che evoca un foglio di carta sospeso, a ricordare che anche il Mein Kampf è fatto di parole, che però hanno avuto effetti nefasti per milioni di persone.

Il Bardo ne ha viste di tutti i colori e di tutti i colori ne ha sopportate, nascosto dietro riscritture che se la cavano con un liberamente tratto da o liberamente ispirato a. Liberamente, molto liberamente, licenziosamente.
Perché Shakespeare non è soltanto il gigante di cui fregiarsi almeno una volta nella carriera ma è soprattutto un banco di prova a cui non ci si vuole sottrarre.
Ma ben venga chi si industria a raccogliere le sfide, cercando di fare di necessità virtù.
Questa volta la sfida l’ha raccolta un giovane regista, Luigi Siracusa…

Sul lato della scena Paola Minaccioni accompagnata da quattro musicisti (Valerio Guaraldi – arrangiamenti e chitarre; Claudio Giusti – sax tenore, contralto e flauto; Giuseppe Romagnoli – contrabbasso e basso elettrico; Matteo Bultrini – batteria e percussioni), un’atmosfera intima e di racconto, una voce fedelmente rauca, rotta a volte da un groppo in gola, perché davvero la vita della Magnani somiglia a tante vite e a tante vite di attrici, e forse Paola l’ha fatta magnificamente sua.

“In una toccante composizione sonora che cerca di restituire l’emozione del passaggio del tempo”, Riccardo Fazi e Claudia Sorace, in arte Muta Imago, tornano in scena a Roma, al MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, con “Ashes”, la performance che nel 2022 è valsa alla compagnia i Premio Ubu come Miglior attore e Miglior Spettacolo Sonoro.
E in effetti i premi sono meritatissimi.

Eppure, se solo sapessimo veramente che le cose brutte della nostra vita le racconta il teatro, e che ci difende nel raccontarle! Il teatro è onesto intellettualmente sennò muore, parla alla comunità per far comprendere, parla “a noi tutti” come dice Eduardo per i nostri figli. E solo se si prova il dolore degli altri si comprende veramente il proprio. Il teatro permette questo: ri-presentare (rappresentare) a se stessi il dolore per la vita, com’è.

Presentato al Teatro San Ferdinando per la stagione del Teatro Nazionale di Napoli, Cinemamuto  vive anche di frammenti di film autografi forniti dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e di una colonna sonora composta ad hoc da Giovanna Famulari che alterna brani classici a invasioni contemporanee di musica elettronica, citando volontariamente questo tempo presente. Il risultato è  un lavoro collettivo che ha il merito di far conoscere una figura di donna e di artista pressoché dimenticata dalla storia del cinema e di portare e riportare all’attenzione del pubblico argomenti che oggi suonano come un’allerta.

Arriva il teatro, arriva la giostra. Quando uno spettacolo di Giancarlo Sepe sta per andare in scena nel suo magico spazio, in quel sottosuolo in costante fermento che è il Teatro La Comunità, nel cuore di Trastevere, mi sale la stessa eccitazione di quando da bambina aspettavo le giostre per il Santo Patrono.
Non so come sarà il nuovo spettacolo, ma so che l’incantamento è assicurato. Non sono mai stata smentita. Lo stand by dalla vita quotidiana è totale e lo è in modo diverso da come accade  o dovrebbe accadere sempre in teatro.

Inizia come in una installazione di Pina Bausch il lavoro di ricomposizione della sua trilogia, che Bernardo Casertano ha realizzato in quasi dieci anni del suo percorso da drammaturgo. Lo scenario è una piccola sala del quartiere Torpignattara di Roma, divenuta negli anni centro nevralgico di iniziative culturali e teatro di performance, grazie alla dedizione e lungimiranza dei fondatori/curatori che ne hanno fatto una Fortezza (di nome e di fatto) “aperta” allo scambio e alla divulgazione artistica e culturale.

La casa nova, commedia della maturità composta in dialetto veneziano, è riproposta fino a domenica 24 marzo 2024 al Teatro India di Roma nell’adattamento e traduzione di Paolo Malaguti e la regia di Piero Maccarinelli che ha brillantemente diretto una compagnia di giovani attori diplomati all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico, scortati da un generoso Stefano Santospago, che sembra uscito dritto dritto dai Rusteghi.