Tratto dal romanzo La ferocia di Nicola Lagioia (vincitore nel 2015 dei premi Strega e Mondello), l’omonimo spettacolo teatrale della compagnia VicoQuartoMazzini ha debuttato al Teatro Vascello di Roma nell’ambito di Romaeuropa Festival. La regia è curata da Michele Altamura e Gabriele Paolocà che ne sono anche interpreti insieme a un valido cast di attori. La drammaturgia è frutto dell’eccelso lavoro di Linda Dalisi che è riuscita a forgiare dalle pagine del complesso romanzo di Lagioia un agile dramma contemporaneo che penetra nelle pieghe di una società avida e corrotta, pronta a qualsiasi crimine, pur di ottenere successo e denaro.

La scena del Teatro Vascello è azzurra, lunare, è di un tribunale abbandonato, con lo scranno del giudice senza il giudice, le carte sono sparpagliate dovunque, ed entra un vento siberiano inquietante, alla Dottor Zivago, che fa da mulinello per tutti quei documenti, c’è un vecchio accasciato su se stesso immerso in un cappotto più vecchio di lui, quasi fosse ormai un barbone inascoltato, e invece si anima e sbraita, e nell’invettiva contro se stesso cita le più belle opere dell’autore, in particolare “Il grande inquisitore”, e quando un grande specchio si apre al centro di quello scantinato archivio, il vecchio si moltiplica, e si vede di spalle e di lato, fiero, finalmente fiero di raccontarsi la verità senza scuse.

Che fine fa l’umano in un contesto storico disumano? Attorno a questa questione, innanzitutto, si sviluppa Il caso Kaufmann, romanzo storico di Giovanni Grasso da cui Piero Maccarinelli ha tratto lo spettacolo omonimo, protagonisti Franco Branciaroli, Viola Graziosi e Graziano Piazza.
Al centro, il rapporto tra un uomo maturo e una giovane donna. A latere, il fatto che l’uomo sia ebreo e la donna ariana. Il romanzo, e di conseguenza lo spettacolo, è lo sguardo inerme che constata che gli accidenti diventano sostanza e che quello che dovrebbe essere corollario, diventa centrale, prepotente, dirimente. Un ebreo non può amare un’ariana, un ariano non può essere amico di un ebreo. Siamo in Germania, un anno prima della promulgazione delle leggi razziali e il clima antisemitico è strisciante.

Fahrenheit 451, presentato come progetto multimediale/melologo sci-fi, è uno spettacolo di altissimo livello, dove musiche, proiezioni e interpretazioni attoriali interagiscono in modo fluido e organico per restituire al pubblico uno specchio agghiacciante alla nostra contemporaneità.

La pièce è la cronaca di una rivolta urbana violenta, radicale, fuori dagli schemi delle rivolte di quegli anni. Si tratta di una sommossa trasversale strumentalizzata dal grido dei “Boia chi molla”, di quella destra eversiva responsabile, tra le altre, di quelle stragi che da piazza Fontana a Milano, a piazza della Loggia a Brescia, alla strage dell’Italicus, era passata, nel 1970, anche da Gioia Tauro con il causato deragliamento del Treno del Sole che collegava Siracusa a Torino Porta Nuova.

Madre è un gioiello teatrale di rara bellezza, destinato a rifulgere nella coscienza e nella memoria degli spettatori per lungo tempo. Basato sul poemetto scenico scritto da Marco Martinelli, si compone di due soliloqui pronunciati da due personaggi senza nome, Madre e Figlio, che incontrano troppe difficoltà comunicative a causa del solipsismo quasi autistico dell’omone di cui non conosciamo neanche l’età.