A monte de Il crogiuolo ci sono due diverse condizioni dello spirito: l’ignoranza disarmante che ti consegna a superstizione e manipolazione e, di contro, la strumentalizzazione di questa stessa ignoranza da parte di una teocrazia che non cede le armi, anzi ne approfitta per riconquistare terreno.

Per la danza di David Parsons il quasi impossibile si è addirittura canonizzato in una coreografia cult datata 1982 che Parsons creò per sé stesso, precedente la fondazione della compagnia e che fa venire la tentazione di togliere il quasi. Si tratta di Caught, un assolo che unisce arte e tecnologia sulle musiche di Robert Fripp in cui il danzatore appare sospeso in aria, fissato come in un fermo immagine che riproduce figure classiche di repertorio o nuove posizioni: per una frazione di secondo, forse meno, ma tu ti sorprendi a pensare che forse potresti anche scattare una foto.

Un po’ è anche questo il senso di questo spettacolo: suggerire un modo indolore per stare dentro la gabbia che l’esistenza riserva a ognuno di noi. Ognuno ha la sua: più o meno dorata, più o meno confortevole, più o meno trasparente. E l’ironia strappata al dolore, la risata sommessa che l’attrice ha più volte innescato, è la rete che ci salva attraverso le sbarre. Avercela.

È liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile (favole napoletane del ‘600) questo testo teatrale di Emma Dante, diretto dalla stessa in maniera magistrale. Questa scrittura e questa messa in scena mi fanno pensare che il Teatro sia puro Amore (finalmente), e consolidano Emma Dante, per me, migliore regista donna, italiana, siciliana, del mio tempo e di ogni politica, non ho alcun dubbio.

Il mondo vuole cambiare, sempre, continuamente, e più spesso il cambiamento lo chiede alle donne, che si fanno carico del messaggio e si tagliano i capelli. Cassandra cambia il vestito. Dal nero luttuoso e goffo, che impedisce il cammino, al rosso paiettato dell’emancipazione, della ribellione, della manifestazione del conflitto, e poi il blu del pensiero, della libertà e della sofferenza, quindi il verde della pacificazione con la natura, l’indole, l’anima, la linfa, il sangue vivo degli alberi, infine il bianco della comprensione e della consapevolezza, insieme cinque temi attuali: la memoria, la vita, la libertà, la transizione e la pace. E questa donna mentre racconta quello che le è successo, e quello che non vuole più succeda, si spoglia e si veste di sé, saggiamente, inesorabilmente, con altruismo.

Anche questa di Macbeth è la tragedia della “scelta”, che è alla base di ogni trasformazione individuale/sociale, che in Shakespeare è la tragedia dell’umanesimo, in quel conflitto intimo e collettivo che vorrebbe superare ogni prospettiva socio-politica verticale, credendo invece superiore, vincente (almeno nel lungo periodo) la capacità “umana” di autodeterminarsi ed essere artefici della propria sorte, e insieme di quella degli altri. Pur considerando in qualche modo ancora aderente quella idea tutta Machiavellica di governare, secondo cui anche la fortuna, il destino, possono essere utili all’uso: e perciò nell’ordine dei fatti si può essere leone e volpe, forza e astuzia, ciò a seconda delle vicende e delle circostanze.