Questa intervista, senza pretese di dare risposte, soluzioni o pareri, vuole solo raccontare di una accoglienza che può e deve essere sempre più praticabile e replicabile, che è stata possibile grazie alle persone che fanno parte di questa storia. Ne emerge una reciprocità naturale che si sviluppa da sola, che arricchisce perché, ad accomunare i protagonisti, c’è una condizione di cui ci si dimentica troppo facilmente: sono tutti esseri umani, siamo tutti esseri umani, e tutti degni di esserlo.
Categoria: SOCIETA’
Questo film si evolve come un’opera tragica che però non termina con la morte dell’eroe ma con la sua salvezza. E nella sua salvezza c’è la salvezza di tutti.
Un tempo era più facile, l’intellettuale era colui che leggeva, scriveva e aveva una visione del mondo e del futuro in un’epoca dove si leggeva, scriveva e si puntava sulla scolarizzazione. Un’epoca in cui esisteva l’ascensore sociale, dove il contadino e l’operaio si indebitavano per far studiare i figli che diventavano avvocati, dottori o, appunto, intellettuali. Un’epoca in cui la laurea era considerata un punto di arrivo, un traguardo raggiunto da un’intera famiglia.
I mille giorni di Nina Weksler nel campo di concentramento di Ferramonti, grazie alla regia di Dora Ricca e all’interpretazione di Lara Chiellino, sono stati raccontati in una messa in scena dal titolo Nina. Guten Morgen Ferramonti.
Yuri è cambiato. Sembra triste, dimesso, un po’ appesantito, ma soprattutto è solo, senza la donna dai grandi occhi scuri con la quale sfidava occhiatacce e risatine.
Vivo nel villaggio che vive di vita vera , di allegria e di sogni, di quelle stesse speranze oggi finite nel vortice di un tempo che non avrà memoria.
Questa eterotopia, lo spazio creato in stretta relazione con tutti gli aspetti della nostra esistenza, riflessa nella dimensione digitale, illusoria e controllata potrebbe essere il perfetto sinonimo del termine antropocene, le conseguenze dell’uno e dell’altro fenomeno sono terribilmente impattanti sulla vita del pianeta quanto su quella di ogni singola individualità.
Esistono uomini belli, liberi e magnetici anche nelle prigionie urbane. Uomini che noi, fantomatici e maldestri giudici di tanti talent-show quotidiani, dovremmo imparare a leggere dentro, magari accendendo una X, e magari canticchiando quel motivetto che più o meno fa “Palestina libera, Palestina li-be-ra…”.
Il grande imprenditore che si è fatto da solo e ha fatto la fortuna di una buona parte del nostro Paese, il simpatico, il generoso, quello che se sei ammaestrato a questuare come si deve, magari povero malato e bisognoso di cure costose, se sai umiliarti e prostrarti di fronte al benefattore, era anche capace di staccarti un assegno, detto fatto, con gli occhi lucidi. Colui che mandava il cesto natalizio ai (prevalentemente alle) dipendenti dei suoi grandi magazzini, le mandava in gita e in villeggiatura, il liberista senza riserve che permetteva ai suoi selezionati direttori di giornali di fare un po’ il cavolo che volevano.
La pièce è la cronaca di una rivolta urbana violenta, radicale, fuori dagli schemi delle rivolte di quegli anni. Si tratta di una sommossa trasversale strumentalizzata dal grido dei “Boia chi molla”, di quella destra eversiva responsabile, tra le altre, di quelle stragi che da piazza Fontana a Milano, a piazza della Loggia a Brescia, alla strage dell’Italicus, era passata, nel 1970, anche da Gioia Tauro con il causato deragliamento del Treno del Sole che collegava Siracusa a Torino Porta Nuova.
Stiamo tutti spalmati e pressati, carne macinata e farcita dentro un vagone ripieno come il budello di una soppressata di Calabria, con tutto il suo armamentario di pepe nero, pepe rosso e peperoncino, secondo i comandamenti scolpiti da qualche barbuto illuminato, sulle sacre e piccanti tavole della tradizione silana di Acri e Serra San Bruno.