Quando Rosetta iniziò a esercitare l’arte della pittura, San Giovanni in Fiore era solo il luogo in cui era nata e di cui non ne avvertiva nessun senso di appartenenza, una casualità come ne succedono tante nella vita. Rosetta, a Milano, diventa allieva di suo zio, Piero Guardigli Bagli, tra gli interpreti della pittura riminese nei primi del ‘900, artista di genio che esercitava la professione di scultore presso l’accademia di Brera.
Categoria: SOCIETA’
Sono andata a Cutro, non c’era più nessuno, eravamo io, un amico in silenzio, atterriti, faceva un freddo e c’era un vento…e poi c’era il suo bambino, che continuava a dire “dobbiamo pregare, ci sono le croci”, il mare era sempre cupo e agitato, e poi sì, c’erano quelle piccole croci fatte con i legnetti senza nome, gli immigrati non portano mai il loro nome qui da noi, e infine piccoli giocattoli sfigurati dalla salsedine in accumulo, come spazzatura qualsiasi trascinata lì dalla corrente. Plastica che resta, come la plastica che affoga tutto ormai. Erano arrivati lì, a riva, e sono morti. Per colpa loro!
Mentre le migliori firme si cimentano in teorie che sfociano nel complottismo politico, una cosa ci appare ormai evidente: siamo alla fine della tv culturale. Attenzione: non quella di Rai storia e Rai 5, e meno male che esistono, no. Ma quella indirizzata al grande pubblico.
Un declino annunciato già con lo spostamento di Fazio dalla rete più generalista a quell’avamposto di resistenza culturale che è Rai3.
In fondo la felicità è una cosa così semplice che a volte può essere dimenticata in uno zainetto. Ma riconoscerla e poi regalarla a qualcuno, vi assicuro, fa volare.
La regia di Matteo Tarasco riesce a restituire l’intimità dei rapporti familiari, gli aspetti che Pasolini intellettuale e poeta non avrebbe mai lasciato trasparire. Le fragilità di un uomo rimasto incompreso e ai margini di una società incapace di comprenderne la grandezza.
I “fratelli der faina” esistono davvero. Tra di loro si chiamano “fraté” e comunicano urlando, come se il mondo intorno non avesse orecchie per sentire.
Eugenio Sideri nella storia ci entra soprattutto attraverso i racconti della Resistenza e dei partigiani, un lavoro di ricerca che si concretizza attraverso la scrittura drammaturgica e la regia di azioni teatrali capaci di creare nuove cognizioni. Sideri ha tramutato l’odio verso gli indifferenti nel mestiere di un moderno partigiano, perché si può essere partigiani in tanti modi e lui lo è attraverso la pratica del teatro. Un’arte che, riuscendo a sopravvivere alla travolgente digitalizzazione di ogni forma di comunicazione, di Resistenza se ne intende. Sideri è uno scrittore, drammaturgo e regista ravennate, tra i fondatori nel 2001 della compagnia teatrale Lady Godiva Teatro, ormai parte integrante del ben più ampio patrimonio culturale della stessa città di Ravenna.
Guardandomi intorno scopro cortometraggi di quotidianità che sfociano in dinamiche curiose o stravaganti. Perché certe attese sono barattoli di vetro nei quali la vita prende scorciatoie, ci mostra storie rapide e furtive, e ci fa percepire dialoghi appassionanti, che un osservatore attento riesce a cogliere attraverso il vetro prima che il tempo si esaurisca.
Alla base di ogni interrogativo possibile c’è la questione del perché soprattutto le donne vengano colpevolizzate per la loro libertà sessuale, apparentemente auspicata, anche dagli uomini, e invece sempre più spesso mortificata, abusata in rapporti violenti di prevaricazione.
Mio padre, che era comunista e che faceva l’operaio alla Ansaldo, sosteneva che babbo natale in realtà fosse un eroe della rivoluzione russa, una specie di ladro gentiluomo che rubava i giocattoli ai bambini ricchi per darli a tutti gli altri e, soprattutto, che non si chiamava Santa Claus ma Santa Claus Kinski.