Dopo aver ceduto il posto ad una simpatica vecchietta con gli occhiali spessi come fondi di bottiglia, mi ritrovo ora in piedi, difronte ad uno dei finestrini del vagone, accanto ad un ragazzo coi capelli rasati quasi a zero e un torace scolpito che fa fatica a star dentro la sua t-shirt nera. Sembra un gorilla beringei appena uscito da un centro benessere.
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In scena al TeatroBasilica di Roma, “A volte Maria, a volte la pioggia”, scritto e magistralmente interpretato da Daniele Parisi, è uno spettacolo travolgente, comico sebbene tragico, ed estremamente movimentato.
Tratto dal romanzo La ferocia di Nicola Lagioia (vincitore nel 2015 dei premi Strega e Mondello), l’omonimo spettacolo teatrale della compagnia VicoQuartoMazzini ha debuttato al Teatro Vascello di Roma nell’ambito di Romaeuropa Festival. La regia è curata da Michele Altamura e Gabriele Paolocà che ne sono anche interpreti insieme a un valido cast di attori. La drammaturgia è frutto dell’eccelso lavoro di Linda Dalisi che è riuscita a forgiare dalle pagine del complesso romanzo di Lagioia un agile dramma contemporaneo che penetra nelle pieghe di una società avida e corrotta, pronta a qualsiasi crimine, pur di ottenere successo e denaro.
Questa intervista, senza pretese di dare risposte, soluzioni o pareri, vuole solo raccontare di una accoglienza che può e deve essere sempre più praticabile e replicabile, che è stata possibile grazie alle persone che fanno parte di questa storia. Ne emerge una reciprocità naturale che si sviluppa da sola, che arricchisce perché, ad accomunare i protagonisti, c’è una condizione di cui ci si dimentica troppo facilmente: sono tutti esseri umani, siamo tutti esseri umani, e tutti degni di esserlo.
Fahrenheit 451, presentato come progetto multimediale/melologo sci-fi, è uno spettacolo di altissimo livello, dove musiche, proiezioni e interpretazioni attoriali interagiscono in modo fluido e organico per restituire al pubblico uno specchio agghiacciante alla nostra contemporaneità.
Questo film si evolve come un’opera tragica che però non termina con la morte dell’eroe ma con la sua salvezza. E nella sua salvezza c’è la salvezza di tutti.
Un tempo era più facile, l’intellettuale era colui che leggeva, scriveva e aveva una visione del mondo e del futuro in un’epoca dove si leggeva, scriveva e si puntava sulla scolarizzazione. Un’epoca in cui esisteva l’ascensore sociale, dove il contadino e l’operaio si indebitavano per far studiare i figli che diventavano avvocati, dottori o, appunto, intellettuali. Un’epoca in cui la laurea era considerata un punto di arrivo, un traguardo raggiunto da un’intera famiglia.
I mille giorni di Nina Weksler nel campo di concentramento di Ferramonti, grazie alla regia di Dora Ricca e all’interpretazione di Lara Chiellino, sono stati raccontati in una messa in scena dal titolo Nina. Guten Morgen Ferramonti.
Yuri è cambiato. Sembra triste, dimesso, un po’ appesantito, ma soprattutto è solo, senza la donna dai grandi occhi scuri con la quale sfidava occhiatacce e risatine.
Vivo nel villaggio che vive di vita vera , di allegria e di sogni, di quelle stesse speranze oggi finite nel vortice di un tempo che non avrà memoria.
Questa eterotopia, lo spazio creato in stretta relazione con tutti gli aspetti della nostra esistenza, riflessa nella dimensione digitale, illusoria e controllata potrebbe essere il perfetto sinonimo del termine antropocene, le conseguenze dell’uno e dell’altro fenomeno sono terribilmente impattanti sulla vita del pianeta quanto su quella di ogni singola individualità.